Amsicora:

Eroe Sardo, rinomato per il suo odio verso i romani e per il suo coraggio, per il suo amore per la liberta' e per gli sforzi da lui compiuti affinche' la Sardegna ritornasse nuovamente libera.

Viene descritto di indole feroce, crudelta' accresciuta in maniera esponenziale dalla vita selvaggia condotta sugli aspri monti e nelle inaccessibili foreste.

Nell'anno 537 lo scenario in Sardegna vedeva poche legioni romane presenti sul territorio e un popolo, i Sardi, incattivito dal lungo periodo di dominazione e dai pesanti tributi imposti.

Proprio in questo periodo e in seguito a queste condizioni, Amsicora si fa promotore della rivolta.

I primi motti della ribellione vennero accolti con gioia da Cartagine, e Asdrubale invio' in aiuto dei Sardi una poderosa flotta che pero' non giunse mai, spinta da una tempesta alle Baleari.

Nel contempo arrivano i rinforzi da Roma, l'esercito romano puo' adesso contare su ventiduemila fanti e milleduecento cavalli.

A fronteggiarli si trovano i Sardi capeggiati da Josto, figlio di Amsicora, ma sara' proprio Josto, non tenendo a mente i consigli del padre, a portare i Sardi verso la sconfitta.

L'attacco dei Sardi contro i Romani assomiglia piu' a un suicidio, sul campo rimangono infatti tremila morti, ottocento sono invece i prigionieri.

Josto si ritira con i superstiti nella citta' di Corpus proprio mentre arrivano i rinforzi ai quali si unisce il prode Amsicora.

Ancora una volta gli eserciti si scontrano ma i Romani hanno dalla loro parte l'esperienze e il numero; malgrado il coraggio e l'odio i Sardi vengono ancora una volta sconfitti; dopo quattro ore di battaglia il sogno di liberta' di Amsicora e' giunto alla fine.

I morti dono dodicimila, tra i quali anche Josto, i Sardi catturati e resi schiavi oltre tremila tra i quali anche Asdrubale.

Amsicora, scampato alla strage fugge con pochi cavalli, forse pensando a nuove vendette, ma quando apprende della morte dell'amato figlio, aspetta il silenzio della notte e si uccide.

Ammutadore:

Si tratta di un essere molto particolare che agisce sfruttando il sonno della propria preda; introducendosi nel sonno provoca una sensazione di forte angoscia, soffocamento e oppressione. Questa figura appartiene al vasto mondo degli Incubi ed e' il terrore dei pastori che sono soliti dormire in aperta campagna.

Atri nomi con i quali e' conosciuto in differenti luoghi sono: Ammuntadore, Ammutaroi, Muntadori e Mutarolla.

Anime dei defunti:

Racconta una antica credenza di Norbio, che l'anima dei defunti, dopo aver vagato per la campagna annusando l'odore di un'erba o di un fiore, sceglie una pianta, e vi si rifugia, rimanendovi dentro fino a quando Dio non decidera' di liberarla.

Proprio per questo motivo gli alberi, le piante, i fiori e la natura in genere posseggono un'anima, soprattutto i fiori poiche' ospitano le anime di bambini o di bambine. Forse proprio sulla scorta di questa antica storia, nei tempi antichi, era possibile sorprendere qualche donna nell'atto di allattare un fiore dopo aver perduto il proprio bambino.

Antiche divinita':

Le antiche divinita' sarde appartengono in gran parte al popolo nuragico e talune sono comuni al successivo popolo fenicio. Questa distinzione e' comunque indicativa visto che risultano ancora misteriose le vere origini e quindi il bagaglio culturale dei primi abitanti dell'isola. Lo studioso Raimondo Carta Raspi riteneva che i fenici del X-IX secolo a.C. potessero essere gli stessi sardi. e' quindi possibile supporre che da questi ultimi i fenici abbiano appreso determinate tradizioni nonche' culti, cosi come avevano fatto pure con il popolo egizio, rappresentandoli in oggetti poi diffusi lungo il mediterraneo.

Tra le antiche divinita' ricordiamo le piu' conosciute:

Janas - dee (fate) custodi dei defunti

Maymon - Maimone, dio dell'Ade

Panas - dea della riproduzione (donne morte di parto)

Thanit - divinita' della terra e della fertilita'

Melqart - equivalente dell'ercole greco-romano, divinita' sardo-fenicia presente anche in Mesopotamia.

Shdrf - shardaf, divinita' sardo-fenicia. Forse collegato alla parola Shrdn.

Sardus Pater - il sardopatore, divinita locale primordiale, denominata cosi' dai primi romani che la conobbero.

Una menzione particolare merita il mito di Aristeo, soprattutto per le innumerevoli fonti e tradizioni che lo collegano alla Sardegna.

Aristeo, dio ottimo o delle cose migliori, e' per definizione una figura civilizzatrice, dispensatrice di felicita', prosperita' e concordia.

Esercita il suo magistero nella lavorazione dei campi e delle vigne, nella piantagione degli alberi, pastorizia, caccia; inventa svariate tecniche connesse all'olivicoltura e alla torchiatura, alla lavorazione del latte e del miele.

La sua nascita e' collocata in Africa, da Cirene, ninfa cacciatrice originaria della Tessaglia. Viene educato dal centauro Chirone e dalle ninfe, che lo rendono immortale nutrendolo con nettare e ambrosia e iniziandolo alle varie arti dell'agricoltura, della pastorizia, della caccia, dell'arte medica e della profezia.

L'arrivo di Aristeo in Sardegna e' riferito dalle fonti all'interno di una sequenza o ciclo eroico dei personaggi mitici giunti nell'isola.

Governo' a lungo l'isola, rendendola fertile e liberandola dagli animali selvaggi prima della conquista della Sardegna da parte dei Cartaginesi.

A lui si deve l'introduzione della caccia  e dell'agricoltura nell'isola.

Le caratteristiche dell'Aristeo sardo sono quelle del primo inventore, le stesse ascrivibili a molti miti antichi nei quali personaggi leggendari insegnano le arti e pongono i presupposti per l'avvio di nuove civilta'.

Arbus:

Tra Arbus e Guspini, in provincia di Cagliari, si racconta che vicino ad una fonte appaia lo spirito di un prete. L'apparizione tiene in mano un lumicino ed e' priva di testa.

Argia:

Una recente notizia di cronaca ci offre l'opportunita' per parlare brevemente di una antica tradizione mai dimenticata e che, per colpa degli eventi, ritornera' di certo in mente ai tanti che non avevano nozione dell'argomento o che avevano smesso di interessarsene.

Il velenosissimo aracnide meglio noto con il nome di Vedova Nera sembrava fosse ormai scomparso dalla Sardegna e con esso il ricordo del suo antico nome: Argia, un nome che incuteva timore tanto da essere l'ispiratore di un intero apparato di riti e rimedi per combatterne la presenza e gli effetti.

La notizia di cronaca recente e' che in realta' la Vedova Nera non si e' del tutto estinta anzi prolifera in maniera eccellente in provincia di Oristano, in particolare nell'isola di Mal di Ventre, nel sottobosco alle pendici del Monte Arci e nella zona di Siscu, nelle campagne di Santa Giusta. La conferma da parte degli zoologi dell'Universita' di Cagliari e degli agenti del Corpo forestale della stazione di Marrubiu non lascia spazio a dubbi e il fatto che gli stessi ne abbiano incontrato decine di esemplari non fa che confermare quanto appena detto.

Secondo la leggenda, quando Dio ordino' lo sterminio degli animali velenosi per liberare le campagne della Sardegna, soltanto la Vedova Nera riusci' a sopravvivere; questa era conosciuta con il nome di Argia e i contadini la temevano come una maledizione. Anche se nel tempo e nei racconti popolari la loro aggressivita' ha subito qualche esagerazione, in ogni caso il loro veleno e' quindici volte piu' potente di quello del serpente a sonagli; le piu' pericolose sono le femmine, i maschi sono gracili e non hanno i cheliceri, cioe' gli organi usati per pungere; non si tratta di animali aggressivi, mordono solo quando sono in pericolo e non hanno possibilita' di fuggire.

Essendo ogni ragno grande solo pochi millimetri, quindi non facilmente individuabile in aperta campagna, i sardi di qualche secolo fa ripetevano rituali e danze tribali, come se sulla Terra l'avesse mandato il demonio, tanto da seppellire e ricoprire di letame lo sfortunato che era stato punto.

Effettuato questo strano rito, le donne erano solite ballargli intorno e solo quando riuscivano a strappargli un sorriso potevano essere certe di averlo salvato. "Su ballu de s'argia" era accompagnato dal suono dei campanacci delle capre poiche' in questo modo si riteneva fosse possibile allontanare gli spiriti maligni, in casi estremi, quando la situazione sembrava essere critica, in qualche paese usavano persino infilare il malato dentro un forno riscaldato. Lo avvolgevano in fasce calde e lo tenevano per almeno dieci minuti, fino a quando i piu' esperti non diagnosticavano la guarigione.

La vittima della Vedova Nera cadeva in una sorta di possessione demoniaca che richiedeva, per la guarigione, rituali arcaici e magici: i Riti Argiatici.

umiliazione: si tratta dell'argia, una vera e propria ballerina variopinta.
In realta' e' un animaletto piccolo e molto velenoso: alcuni lo descrivono come un ragno, altri come una grossa formica.

In ogni caso, la sua puntura puo' essere mortale se non curata nei tempi e nei modi imposti dalla tradizione.

Consideriamo per un attimo cosa era e cosa in parte e' ancora nell'isola la vita agricola e pastorale; si tratta di situazioni molto faticose, dure e senza riposo. A volte il pastore o il contadino decide di distendersi solo per un attimo all'ombra di un albero, ed e' proprio allora che l'argia e' pronta a colpire.

Non esiste un orario definito o un particolare periodo, anche se e' molto piu' probabile che il morso venga dato d'estate, in campagna, durante i lavori pastorali, di mietitura, di spigolatura o di raccolta delle fave.

In ogni caso tutto accade sempre nei momenti di stanchezza, di riposo e di abbandono, quando il lavoratore e' meno vigile.

Questo comportamento rendeva la Vedova Nera un terribile nemico per combattere il quale non bastavano certo i soliti accorgimenti umani, era quasi una calamita' soprannaturale e come tale doveva essere combattuta attraverso la Magia contadina e la sua paura poteva essere esorcizzata soltanto seguendo determinati rituali che si traducevano quasi sempre in balli e travestimenti. In pratica si trattava di mettere in atto una antica e nota regola di Magia Simpatica, combattere il nemico mettendo in mostra una immagine speculare del nemico stesso in modo da distruggerlo con le sue stesse armi.

Dopo la puntura dell'argia, la vittima non e' piu' la stessa persona: subisce una vera e propria possessione da parte dell'animale. L'unica speranza di salvezza e' scoprire le caratteristiche dell'argia colpevole.

Tutto il paese si impegnava in questa indagine, suonando e danzando per scoprire le preferenze dell'argia.

Si fanno indossare al malato abiti femminili dai diversi colori per poter capire se l'argia e' nubile, sposa o vedova. Si cerca anche di interrogare il malato stesso per ottenere altre informazioni.

Il risultato di questo complesso rituale e' una festa ricca di suoni, balli e colori. L'argia deve essere messa allo scoperto entro tre giorni esatti: solo dopo essere stata individuata e accontentata si allontanera' e permettera' al malato di ritrovare la sua identita' e dignita'.

Esistono pero' altri sistemi diversi dal ballo e dal travestimento; in alcuni paesi, le donne si dispongono intorno al malato e muovono i loro setacci per la farina su telai di legno. Accompagnano i suoni di questi strumenti tradizionali con tipici canti femminili.

In altre zone dinvece, per la cura, si prepara un grande forno all'aperto. Si accende il fuoco con tralci di vite posti a formare una croce.

Il malato si siede accanto alle fiamme mentre altri ballano vicino a lui, con in mano tralci di vite accesi.

Nel sassarese l'infortunato e' avvolto in un sacco e seppellito fino al collo nel letame. Il corpo della vittima e' talvolta semplicemente immerso in una tinozza piena di acqua calda.

Oggi, malgrado la notizia riportata in apertura, questi rituali sono soltanto un antico ricordo confluito in tradizionali feste e balli di paese, molto seguite dai turisti e con una forte partecipazione emotiva, segno che il ricordo e' comunque ancora vivo e la paura ha sempre bisogno di essere in qualche modo esorcizzata.

Arreyulta:

Donna dalle proporzioni gigantesche  molto nota a Bessude che appare solitamente tra il 31 Luglio e l'1 Agosto.

Trascina pesanti catene e abita in una grotta poco fuori il paese; il suo compito principale e' quello di castigare le ragazze che non hanno filato almeno otto matasse di lana, tagliando loro mani e piedi. Chi s'imbatte in lei nei crocevia conoscera' la data della sua morte.

Atlantide:

Forse apparira' curioso ma sono molte le ipotesi che collocano il famoso continente perduto proprio in Sardegna.

Una testimonianza in tal senso e' data dallo scrittore e giornalista del quotidiano La Repubblica Sergio Frau, il quale colloca le Colonne d'Ercole non a Gibilterra ma proprio nel canale di Sicilia.

Il testo "Le Colonne d'Ercole. Un'inchiesta" edito dalla NurNeon di Roma attacca e stravolge molte delle consolidate certezze in questo campo per proporre una tesi alquanto affascinante.

L'ipotesi prende spunto dalle nozioni geografiche derivate dai Fenici e dai Cartaginesi i quali avrebbero indicato le Colonne d'Ercole proprio nel canale di Sicilia; la geografia "ufficiale", quella del greco Eratostene, complice la perdita delle tracce dei due grandi popoli prima menzionati, sposto' arbitrariamente a Gibilterra il luogo del contendere, anche per bilanciare l'enorme allargamento a oriente frutto delle conquiste di Alessandro Magno.

Le discussioni sono ancora in atto e ci si augura che l'ipotesi venga approfondita, non soltanto per la sua valenza storica o per la sua portata in ambito archeologico ma anche perche' sarebbe una enorme spinta al fine di rompere quel muro di isolamento che, ingiustamente, da troppo tempo separa la Sardegna dallo stivale Italiano.

Bitiae:

Donne malvage molto conosciute e temute in epoca romana; possedevano due pupille per occhio ed erano in grado di uccidere con il solo sguardo chiunque guardassero con ira. La loro versione moderna e' quella delle portatrici di Malocchio o delle Donne dallo Sguardo Pesante.

Bonorva:

A Funtana Santa di Bonorva e' il luogo nel quale, probabilmente, doveva svolgersi il rito "dell'ordalia" o giudizio divino: chi era accusato di furto veniva portato a questa fonte, presso la quale scavi archeologici hanno portato alla luce un recinto gradonato ad anfiteatro, per essere giudicato dalla divinita'. Il presunto colpevole doveva superare una prova che avrebbe rivelato la verita' sul furto: l'occhio dell'accusato veniva bagnato con l'acqua della fonte, dietro la quale si celava la divinita'. Se l'accusato era colpevole diventava cieco altrimenti aveva un incremento della vista per effetto dell'acqua magica.

Brebus:

Il termine brebus o berbus e' riferibile a parola, parlare e sotto questa voce vengono solitamente racchiusi gli scongiuri, le orazioni e le invocazioni a carattere magico rituale del popolo Sardo.

Nella tradizione dell'isola la parola possiede e conserva ancora oggi una valenza molto particolare e un significato estremamente profondo; basti pensare che in alcuni paesi dell'interno vengono addirittura trasferite anche le proprieta' immobiliari con una semplice parola, ovvero con la tipica espressione "bastat su foeddu", basta la parola., facendo ricorso ad un atto pubblico solo quando questo diventa necessario per presentare domanda di miglioramento fondiario o per accedere ad un credito.

Questa antica tradizione e' riscontrabile anche in alcuni paesi dell'entroterra siciliano e richiama molto da vicino il culto della parola nel mondo egizio.

Parlare significa in realta' modulare dei suoni, in questo senso la parola e' magia ed e' in grado di interagire con le forze soprannaturali, proprio perche' la natura, l'universo e tutto cio' che ci circonda sono in realta' suoni, una lunga e unica nota che si riproduce all'infinito.

Lo stesso termine rebus si distacca dall'accezione lessicale comune e assume in Sardegna un senso piu' profondo; rebus e' parola attiva, viva, il verbo dei cristiani, il suono primordiale, l'incessante ricerca dell'uomo di ricreare il suono divino per farne parte egli stesso.

Alla luce di questi fatti e' facile evincere che i rebus non sono in realta' dei veri e propri scongiuri; questa caratterizzazione e' in realta' dovuta all'avvento del Cattolicesimo, tanto e' vero che anticamente esisteva una netta distinzione tra rebus e preghiere cristiane.

I brebus andavano, e accade ancora oggi, recitati all'interno di un ben articolato rituale, composto da parti di chiara matrice cristiana e da antiche reminiscenze di natura pagana.

Malgrado sia spesso citata la parola Dio e' interessante notare come questo termine accolga in realta' un concetto molto piu' largo di divinita'; Dio e i suoi santi sono in realta' divinita' con connotazioni universali, simili alle entita' che popolano l'universo religioso sardo.

Secondo la tradizione, i brebus vengono tramandati da anziano a giovane e colui che li cede perde la facolta' evocativa e terapeutica passandola a colui che li riceve.

Allo stesso modo e' assolutamente proibito ricevere compensi di qualsiasi natura per eseguire un rebus, pena la perdita di efficacia; in altre culture, come quella esistente in Sicilia, questa regola viene invertita e si raccomanda di offrire anche qualcosa di simbolico in cambio di uno scongiuro o di una azione efficace che lenisca sofferenze e problemi del richiedente.

Spesso questo dono consiste in frutti della terra o cibo, quasi mai in denaro e , in questi casi, pochi spiccioli come simbolo del baratto.

Bruja, bruscia (bru'sa, bru(i)xa:

Dallo spagnolo, meretrice, prostituta; anche la bruja, come la coga, e' principalmente una strega e in questo caso si va anche perdendo l'aspetto ematofago che si ritrova solo nelle zone di colonizzazione catalana quali Alghero e nel campidano, dove viene oggi confusa con la coga a causa di una perdita di significato dovuta al tempo.

La bruja quindi e' bella e strega, tanto istintiva e selvaggia da essere avvicinata ad una donna di facili costumi. Puo' certamente divenire moglie e madre ma manterra' sempre il suo aspetto notturno pregno di magia e istintualita'.

Buggerru (Cagliari):

Nel Canale Menfidano si troverebbe una pietra con impresse le orme del Diavolo; sotto la pietra si nasconderebbe un favoloso tesoro.

Chiesa di San Bernardino:

A Logoro (Oristano), si trova la Chiesa di San Bernardino, risalente al secolo XVIII, sede parrocchiale.

All'interno vi e' un reliquiario dove si conservano le pietre del cosiddetto "miracolo eucaristico di Mogoro": accadde che durante una messa celebrata all'altar maggiore, un sacerdote lascio' cadere inavvertitamente un'ostia consacrata e sul marmo di un gradino rimase indelebile l'impronta circolare dell'ostia.

Cibo e credenze:

Il cibo: amato, odiato, indispensabile, adorato e divinizzato; il cibo e', fin dalla nascita, uno dei principali mediatori nella nostra relazione con il mondo, la materia prima necessaria per il funzionamento di quella meravigliosa e perfetta macchina che e' il nostro corpo, ma con il cibo e l'alimentarsi hanno a che fare anche alcuni dei cinque sensi per mezzo dei quali percepiamo il mondo stesso, ne gustiamo le sfumature, ne sentiamo gli aromi ed i sapori, ne ammiriamo i colori. A questa relazione diretta con il cibo noi diamo anche un significato, cioe' siamo soliti attribuirgli un valore simbolico ed espressivo di noi stessi; questo, almeno, e' quanto avveniva nel passato, in epoca moderna la fretta del quotidiano e l'ansia non lasciano molto spazio per riflettere su cosa stiamo mangiando, sul perche' preferiamo proprio quel piatto e non altro, su cosa significa e se esiste magari una storia dietro le succulente, ma spesso veloci, pietanze che stiamo per consumare.

Il cibo e' stato anche un veicolo della spiritualita', ha influenzato e si e' lasciato influenzare dai miti e dalle credenze, creando attorno a se un insieme di usi e tradizioni che vanno oltre il folclore e diventano spesso materia di studi approfonditi per ritrovare le origini e la storia di un popolo.

In Sardegna cibo e culto si sono spesso incontrati e si incontrano ancora, fanno parte del quotidiano ed esprimono a volte stati d'animo, formano messaggi da interpretare, instaurando un vero e proprio linguaggio fatto di gesti e movenze che nascono dalla preparazione del cibo e dal suo utilizzo. Riportiamo brevemente le caratteristiche salienti di questo strano linguaggio:

Cibi afrodisiaci:

In passato il popolo sardo era molto piu' riservato e chiuso di oggi; partendo da questo presupposto, la sessualita' non era certo un argomento che veniva trattato platealmente, soprattutto quando ci si riuniva tutti a tavola.

Proprio per questo motivo la tradizione culinaria dell'isola e' povera di quelle pietanze definite afrodisiache; l'unico cibo considerato dotato di tali poteri era ed e' ancora oggi il sedano (s'appiu), mangiato crudo ed in grosse quantita'.

Oggi nei tipici banchetti sardi si usa mettere il sedano sulla tavola ed invitare con malizia gli uomini presenti a consumarne senza limiti.

Cibi di buon auspicio:

Nell'isola ogni festa e' il momento giusto per gustare la carne di maiale arrosto. Il maiale viene abbruskiau (bruciacchiato), lavato per bene, tagliato in piu' parti e cotto all'aperto sul fuoco.

Questo alimento, simbolo di gioia e di benessere, e' considerato di buon auspicio, soprattutto se condiviso con altri.

Per le feste nei paesi si fanno doni ai vicini o alle famiglie piu' bisognose: pezzi di carne appena macellata, pane fritto nel grasso del maiale, fegato e

lardo. Doni che sono subito ricambiati con fave, ceci o lenticchie: cibi meno costosi ma anch'essi portatori di fortuna e benessere.

Fave e lardo e' il piatto tipico che viene offerto nei paesi durante il Carnevale: si saluta l'arrivo della primavera con una pietanza ricca, augurio di raccolti abbondanti e prosperita'. Altri due alimenti di buon auspicio sono sicuramente il riso e il grano: ancora oggi gettati ai piedi degli sposi nel momento dell'abbandono della casa paterna. Cosi' si augurano alla nuova famiglia prosperita' e felicita'.

Brindare con bicchieri colmi di buon vino e' infine il gesto di buon augurio piu' diffuso in Sardegna ed e' sempre considerato di cattivo gusto rifiutare unu zikkeddu, un bicchierino di vino.

Cibi e ricorrenze:

Ogni evento fuori dalla quotidianita' e' segnato in Sardegna da cibi particolari, ricette preparate sulla scorta di una antica arte trasmessa di generazione in generazione.

Per le nozze si preparano ancora oggi pani e dolci di forme diverse: a cuore, a fiore, a corona, a colomba oppure con varie punte a rappresentare gli organi sessuali degli sposi.

Il 31 Ottobre in passato si distribuivano ai bambini pani a forma di corona, is animeddas, in nome delle anime del purgatorio.

Durante la notte del primo novembre era usanza lasciare sul davanzale la cena per i defunti, pane e pastasciutta.

Al settimo o nono giorno dalla morte di un congiunto si dona a parenti

e amici un pane gustosissimo, sa panedda, con carne e maccheroni.

Per la Pasqua si confeziona ancora il pane con uno o piu' uova

incastonate nella pasta prima della cottura, dolce tipico anche in moltissime parte della Sicilia.

I tipici dolci pasquali sono: is pardulas (focacce di pecorino fresco) e is pabassinas (fatte con uva passa, mandorle, noci e mosto cotto).

A Natale la tavola sarda e' addolcita da torrone, mostaccioli e guefus (pasta di mandorle vestita di zucchero).

Maneggiare i cibi:

Se si partecipa a un banchetto sardo non e' proibito mangiare con le mani, anzi i cibi risultano piu' saporiti e gustosi, e' pero' molto importante prestare la massima attenzione rispetto ad altri atteggiamenti; il pane, ad esempio, ha un valore molto importante in Sardegna: e' stato per secoli l'alimento principale di ricchi e poveri e deve essere maneggiato con molta cura.

Su civraxu (grande pagnotta) non si deve infilzare con il coltello, va solo tagliato a grosse fette, mai intorno. Quando si taglia la prima fetta non bisogna mai tagliarla dalla parte dove e' stata staccata la pasta (quella che rimane un po' meno cotta). Non deve essere assolutamente capovolto.

Se un pezzo di pane cade per terra si raccoglie, lo si soffia per pulirlo e con un segno della croce si ripone sulla tavola. Non deve essere assolutamente buttato. Anche il formaggio va trattato con riguardo: si taglia a fettine regolari e non molto grosse, partendo dal centro della forma.

Prima di tagliare la cagliata i pastori facevano una croce sul latte coagulato, si segnavano e iniziavano a lavorare il formaggio

Massima attenzione anche per quanto riguarda il vino: va versato nel bicchiere tenendo il fiasco o la bottiglia con il dorso della mano rivolto verso l'alto. Versare il vino in maniera diversa, e' considerato un gesto di tradimento.

Cibo e ospitalita':

Corre voce che il popolo Sardo sia molto riservato, a volte addirittura scorbutico; non e' esattamente cosi', almeno fino a quando non si toccano argomenti molto privati e comunque e' anche giusto ammettere che la curiosita' troppo spinta dell'ospite darebbe di certo fastidio a chiunque.

In compenso sono molto ospitali, soprattutto nei paesi dove quasi sempre non si esce da una casa senza aver assaggiato un pezzo di formaggio fresco, prosciutto, pane e un bicchiere di buon vino.

In Sardegna condividere anche quel poco che si ha da mangiare e' quasi una regola, piu' si da' piu' si ricevera' dalla provvidenza.

Una curiosita' in tal senso e' data dalla regione del Nuorese, dove al turista o al semplice visitatore potra' accadere, entrando in un bar, che gli si offra da bere; nessuna paura, accettate pure l'invito e approfittatene per scambiare quattro chiacchiere.

Civilta' Nuragica:

Nata e sviluppatasi in Sardegna ma diffusa anche in Corsica, la civilta' Nuragica abbraccia un periodo di tempo che va dalla prima eta' del Bronzo (dal 1.700 a.C.) al II secolo d.C., ormai in piena epoca romana. Deve il suo nome alle caratteristiche torri nuragiche che costituiscono le sue vestigia piu' eloquenti e fu il frutto dell'evoluzione di una preesistente cultura megalitica, costruttrice di dolmen e menhir.

Popolo di guerrieri e di navigatori, i nuragici commerciavano con gli altri popoli mediterranei e la loro civilta' ha prodotto non solo i caratteristici complessi nuragici, ma anche gli enigmatici templi dell' acqua sacra, le tombe dei giganti e delle particolari statuine in bronzo. Per molto tempo la loro cultura ha convissuto con altre civilta' estranee all'isola, come quella fenicia, quella punica e quella romana, senza mai pero' essere assorbita da queste.

In epoche remote l'Isola fu abitata stabilmente da genti arrivate nel Neolitico da varie parti del continente europeo e forse dal continente africano. I primi insediamenti sono stati rinvenuti sia in Gallura che nella Sardegna centrale, ma in tutta l'Isola progressivamente si svilupparono diverse culture.

Di questi popoli prenuragici si possono ancora ammirare piu' di 2.400 tombe ipogeiche, conosciute con il nome sardo di Domus de Janas (vedi voce). Ma il monumento piu' enigmatico di quel periodo e' sicuramente la piramide a gradoni, ossia lo ziqqurath di Monte d'Accoddi (vedi voce), presso Sassari, le cui similitudini con gli ziqqurath mesopotamici sono eclatanti e inspiegabili.

Secondo la ricostruzione dell'illustre studioso della civilta' nuragica Giovanni Lilliu, quelle riportate di seguito sarebbero le entita' piu' rilevanti delle tribu' Nuragiche della Sardegna:

- i Ba'lari costituirono l'etnico che produsse la cultura di Bonna'naro e che sembra trovare corrispondenza anche nelle isole Baleari;

- negli Iole'i viene individuato un ciclo culturale prodotto da etnie provenienti dal Mediterraneo orientale, ossia gli Ache'i-Eraclidi, arrivati in Sardegna sulla scia dei Minoici-Cicladi prenuragici;

- nei Corsi, stabiliti in Gallura sin dai tempi piu' remoti, viene indicata l'etnia che produsse l'aspetto culturale detto gallurese ossia la cultura di Arzachena che si estese poi anche alla vicina Corsica a cui dara' il nome.

Queste ed altre etnie progressivamente si accentrarono in villaggi fino a formare in seguito delle vere e proprie etnie con piccoli stati i quali, formando delle federazioni, raggiunsero ben presto un notevole assetto civile. Ecco in ultimo le principali tribu' nuragiche, cosi' come ci vengono tramandate dagli scritti romani, che popolavano la Sardegna e la Corsica:

I Beronicenses nel basso Sulcis e nell' Iglesiente;

I Giddilitani nel Montiferru;

Gli Euthicani nell'Oristanese;

Gli Uddadhaddar nel Montiferru;

I Luguidonensi nel Logudoro;

I Balari nell'alto e basso Coghinas;

I Corsi nel Montacuto e nella Gallura;

I Lestrigoni in Gallura settentrionale;

Gli Iliensi o Iolei nelle montagne di Ala';

I Nurritani o Nurrenses nei territori di Orotelli;

I Parati nel Monte Albo;

I Sossinati nel Monte Albo;

Gli Acconiti nel Monte Albo e nei monti Remule;

I Cunusitani a Fonni;

I Celsitani in Barbagia;

Gli Esaronensi nella valle del Cedrino:

I Gallilensi nell'alto Flumendosa e nel Gennargentu;

I Maltamonenses in Marmilla;

I Semilitenses nel Cixerri;

I Moddol nella Trexenta;

I Cervini in Corsica settentrionale;

I Tarabeni in Corsica meridionale;

I Titiani in Corsica meredionale;

I Belatoni nella Corsica del Sud ;

I Venacini nella Corsica settentrionale;

I Cilebensi nella Corsica del Nord ;

I Licinini nella Corsica centrale ;

Gli Opini nella Corsica centrale;

I Sumbri nel centro della Corsica;

I Cumanesi, in Corsica centrale;

I Subasani, in Corsica meridionale;

I Macrini, nella Corsica del Nord.

Le tribu' erano sostanzialmente formate da varie famiglie (Clan) che obbedivano ad un capo e vivevano in villaggi composti da capanne circolari con il tetto in paglia, del tutto simili alle attuali pinnettas dei pastori barbaricini.

La struttura sociale, fortemente accentrata e gerarchica, era fondata da uno stretto rapporto di sudditanza all'interno della comunita'. Gli obblighi dei sudditi verso la loro guida erano rinsaldati dalla religione che faceva del sovrano un capo politico ed allo stesso tempo anche un capo religioso. In tale struttura teocratica - secondo gli studiosi - aveva un'importanza di rilievo la figura degli eroi fondatori quali Iolaos, Norax e Sardus, mitici condottieri ma allo stesso tempo considerati divinita'.

Campurra:

Spirito malevolo che appare la notte ai passanti e, allargando le braccia, blocca loro la strada.

Comunita' di Fate:

Le tribu' di Janas abitano prevalentemente nei sepolcreti ma si dividono in numerose comunita', ognuna con delle caratteristiche diverse e ognuna padrona di diversi luoghi.

Una popolosa tribu' conosciuta anche con il nome di Janneddas vive appunto negli antichi sepolcreti, mentre nella valle di Pottu Codinu vicino a Monteleone Rocca Doria (Sassari) vivono i Nanos. Le Mergianas sono solite dimorare a Perdas de Fogu (Nuoro) mentre nel Sassarese vive un gruppo di Janas chiamato Li Faddi. Nel Nuraghe "de is paran", a Isili (Nuoro), molti dicono di sentire ancora durante la notte il rumore di un telaio d'oro sul quale tesse una Jana; infine una antica leggenda riferita al paese di Sadali (Nuoro), racconta di alcune Janas che abitavano in una grotta proprio nelle immediate vicinanze; un giorno vennero trasformate in blocchi di marmo e questi blocchi si possono ancora vedere sul bordo del fiume che passa nella grotta.

Cosas Malas:

Uno dei tanti termini generici per indicare i fantasmi ma, in special modo, gli spettri o spiriti inquieti. Un gruppo di Cosas Malas e' segnalato nella diocesi di Badessa, ad Ales e nella casa parrocchiale di Gonnoscondina, tutti centri in provincia di Oristano. Rimanendo sempre sul territorio di Oristano, a Solanas, il fantasma di un frate si fa vedere a mezzogiorno e sembra custodisca un tesoro. In provincia di Cagliari, a Fluminimaggiore, nel Nuraghe chiamato "S'acco'rru de su estiu" sono in molti a giurare di aver visto uno spettro; cosi' come sono tantissime le testimonianze in merito a questo argomento, molti sono anche i modi per tenere a debita distanza queste temibili creature: flagellare l'aria dell'ambiente infestato con una frusta, conficcare un grosso coltello nella porta d'ingresso, spargere nel proprio letto ciuffi di erba procellaria, spargere sul guanciale alcune gocce di essenza di anice.

Culto del Toro:

Nella zona che ospita la Necropoli di Sant'Andria Priu e' possibile visitare le grotte che portano lo stesso nome, una localita' appartata, sacra al culto delle acque e della fertilita'. Le grotte in questione non sono naturali, si tratta in realta' di ipogei prodotti in antico e attribuiti al neo-eneolitico (3000-1800 a.C.). Secondo alcuni studiosi le loro funzioni erano rituali e funerarie: gli ambienti sono scavati nella roccia in modo da simulare l'interno delle capanne e delle case con accurata riproduzione di strutture e decorazioni. Il complesso venne frequentato per secoli e impiegato successivamente anche come sacello paleocristiano. La caratteristica curiosa del sito e' data da un masso scolpito, nel quale malgrado il trascorrere del tempo si puo' riconoscere la sagoma di un toro poderoso, anche se privo della testa. La suggestiva presenza di questa scultura pare proprio non essere casuale, sia per il significato sacrale del luogo che per la grande diffusione dell'emblema taurino nell'ambito dell'antica cultura sarda; il simbolo e' presente infatti all'interno dello stesso ipogeo di S. Andrea Priu e in numerosi altri interessanti ipogei, come il Mandra Antine presso Thiesi (Sassari), Enas de Cannuia presso Bessude (Sassari), Brodu presso Oniferi (Nuoro), Grotta dell'Elefante pressi Sedini (Sassari), Anghelu Ruju presso Alghero (Sassari). Il toro rupestre risulta orientato con la parte anteriore verso nord.

Deinas:

Conosciute anche con il nome di "videmortos", erano veggenti molto stimate e temute, anche per la loro capacita' di comunicare con i defunti. Appartengono alla famiglia delle Janas.

Femina agabbadora:

Una lunga galoppata per portare la morte; questa e' la corsa della consolatrice dei moribondi in Gallura.

Si trattava di una donna che batteva le campagne come un'ombra, correva lungo i sentieri vicini al mare; e arrivata finalmente nella casa dove la malattia stava irrimediabilmente consumando qualcuno, con un colpo preciso di martello al capo poneva fine a tutte le sofferenze.

Veniva solitamente chiamata dai familiari del moribondo, tollerata dalle istituzioni e dalla Chiesa.

A Luras, nel museo etnografico "Galluras" esiste l'ultimo mazzolu, cosi' si chiama in gallurese il martello della femina agabbadori. Lo custodisce gelosamente Pier Giacomo Pala, ideatore e proprietario del museo: ha trovato il martello in uno stazzo. Si tratta di un ramo di olivastro lungo 40 centimetri e largo 20, con un manico che permette un'impugnatura sicura e precisa. Questa inquietante figura femminile ha aiutato i malati ad evitare una lunga agonia sino alla fine dell'Ottocento, ma nel museo e' possibile trovare anche altri oggetti rituali che accompagnavano le ultime ore dei malati terminali: un piccolo giogo di legno, "lu iualeddu", che veniva messo sotto il cuscino del moribondo; simbolo di vita e di morte, il giogo staccato dai buoi rappresentava la fine del vigore e il corpo dell'ammalato, ormai incapace ad assolvere il proprio compito in seno alla societa'.

Quella che oggi potrebbe apparire come una pratica violenta e quasi selvaggia aveva ragione di esistere ci rifacciamo alla realta' degli stazzi nei tempi antichi; isolati, lontani giorni di cavallo da un medico e dai primi soccorsi, l'ammalato passava attraverso atroci sofferenze prima che la morte gli desse un po' di pace e spesso passava altro tempo anche dopo l'avvenuto decesso prima che i soccorsi arrivassero.

Questi i fatti come sono raccontati dalle vecchie tradizioni orali e da coloro che li udirono dai nonni: la femina agabbadori arriva nello stazzo sempre durante la notte, ai familiari che l'avevano chiamata diceva questa frase:

"Deu ci sia" (Dio sia qui), quindi faceva uscire dalla stanza del moribondo tutti i presenti. La donna assestava il colpo mazzolu provocando la morte del malato, un solo colpo quasi sempre diretto alla fronte, quindi andava via.

Una usanza analoga e' riscontrabile, secondo le citazioni di Eschilo, in una colonia cartaginese in Sardegna presso la quale era accettato e tramandato il sacrificio degli anziani. Lo stesso accadeva a Gairo, presso la rupe babaieca, dalla quale venivano precipitati gli anziani e gli ammalati.

Cosa c'e' di vero nelle notizie che riguardano sa femina Agabbadora?

La questione e' molto controversa per via di dati storici non sempre chiari, e' comunque ovvio che se tali fatti corrispondono alla realta' si tratta di questioni private che nascevano e morivano in seno alle famiglie stesse, questioni delicate delle quali non sempre e' facile o opportuno parlare.

La testimonianza di Alberto Della Marmora in merito a questa particolare usanza fu la scintilla che fece esplodere la discussione e l'inizio di tutti i dibattiti, discussioni che si protrassero a lungo e che ancora oggi non sono arrivati ad una conclusione certa.

Anche questa testimonianza, in ogni caso, si basava su racconti orali e non aveva nulla di documentale; resta il fatto che la mole di narrazioni popolari che hanno come soggetto questa particolare figura lascia supporre un fondo di verita' nella questione, una verita' forse rintracciabile attraverso uno studio sulle valenze magiche e sulle radici antropologiche che sa femina agabbadora rappresenta.

Fuglietti:

Una tribu' appartenente al Piccolo Popolo molto diffusa in Sardegna, nel territorio di Aggius (Sassari), dove e' conosciuta anche con il nome di Parasismi.

Si ritiene che i Fuglietti dimorino nelle abitazioni nelle quali sono morte persone che hanno giurato il falso mentre un'altra tradizione afferma che questi siano le anime di bambini morti senza aver potuto ricevere il battesimo.

Pur abitando nelle case, a volte i Fuglietti si trasferiscono anche nei boschi dove fanno udire ai passanti le loro allegre risate.

Gentiles:

Secondo alcune tradizioni sono i piu' antichi abitanti della Sardegna.

Di statura gigantesca e forza sovraumana, hanno in genere un buon aspetto, in alcune si racconta che avessero un occhio solo. Alcune grotte situate nell'interno dell'isola, in base a quello che racconta qualche pastore, conservano i segni del loro passaggio. A loro si deve la costruzione dei monumenti funerari megalitici ed erano conosciuti un tempo come pastori della terra, ossia coloro che dovevano prepararla alla presenza dell'uomo. I Gentiles si spostavano solitamente cavalcando fascine di legna, rivelarono agli abitanti il segreto per costruire i Nuraghe e ancora oggi continuano ancora la loro attivita' di pastori ma non si fanno piu' vedere dagli uomini. Un gruppo di Gentiles, secondo alcune tradizioni locali, si nasconderebbe ancora oggi tra i pochi alberi rimasti in Barbagia.

Giganti del Sinis:

Penisola del Sinis, nell'estremo nord del golfo di Oristano, in Sardegna occidentale. In questo posto, durante il 1970, vengono riscoperte dai contadini in un campo frammenti di statue enormi. Gli scavi veri e propri si effettueranno soltanto dopo quattro anni e il loro risultato sara' la scoperta di circa 30 statue di arcieri e lottatori; statue alte 2,60 metri, gambe e braccia possenti, acconciature celtiche, occhi simili a dischi solari. Si trattava forse di guardiani del mare che porta in occidente, ma i loro tratti decisi del viso ricordano stranamente in qualche modo i signori dell'isola di Pasqua.

Rimasti per circa trenta anni nel museo di Cagliari, finalmente hanno rivisto la luce nella sala restauri del museo della stessa citta', ottenendo la fama che spetta loro, ed e' una fama che andrebbe propagandata con forza visto che ci troviamo di fronte alla cultura Nuragica Megalitica, quindi risalente all'incirca a mille anni prima di Cristo, e trecento prima della statuaria greca, in poche parole si tratta di un anticipo notevole rispetto alla tecnica di scultura a tondo che finora si e' ritenuto fosse propria della Grecia.

Gioviana:

Genio tutelare femminile che si presenta nelle case la notte del giovedi' per aiutare le donne a filare.

Giorgiana Jarosa:

Fata custode di tesori, assimilabile a Giorgia Rabiosa, che abita a Esterzili (Nuoro).

Grotta della Vipera:

La Grotta della Vipera a Cagliari, e' un monumento funebre romano molto interessante, voluto da Lucio Cassio Filippo per la moglie Pomptilla che offri' la propria vita agli dei affinche' facessero guarire il marito dalla malaria. All'interno del monumento c'e' una struggente e tenera poesia dedicata dal marito all'amata. Le Vipere in epoca romana simboleggiavano la fedelta' nell'amore coniugale.

Il ballo dei morti:

Puo' capitare che la notte si senta il vociare di uomini e donne provenire da una chiesa. Questi, in allegria, cantano e ballano, invitando i pochi passanti notturni ad entrare e fare festa con loro.

Sono i morti, che in alcuni giorni dell'anno scendono in terra sacra per fare festa, tuttavia non bisogna accettare il loro invito a ballare, poiche' i loro piedi non toccano il pavimento e potrebbe essere fatale. I vecchi lo sanno e all'invito dei morti sorridono e declinano.

Il Ballo dei Morti e' molto simile, se non una variante, del Ballo Fatato e del Ballo delle Streghe, entrambi molto noti nella tradizione contadina relativa a tutto il territorio italiano.

Impronte meravigliose:

A San Quirino, nelle vicinanze di Ozieri (Sassari), piu' esattamente nella Chiesa parrocchiale, si conserva l'orma della Madonna e accanto un fosso che, secondo la tradizione locale, il Diavolo stesso scavo' con le corna.

Vicino a Luogosanto (Sassari), sul Monte Giovanni, e' rimasta la forma della culla e del guanciale sul quale riposava il Bambino Gesu'.

Sul Monte Mannu, vicino alla chiesetta di San Giorgio, nel territorio di San Pantaleo di Olbia (Sassari), si trova una fonte d'acqua fatta scaturire da San Giorgio; proprio nelle vicinanze e' anche conservata sulla roccia l'impronta del suo cavallo.

Incubazione:

Questo particolare rito sardo viene ricordato anche da Aristotele; il termine deriva da incubare (dormire) e il suo svolgimento consisteva appunto nel dormire presso le tombe degli avi in modo tale da liberarsi dalle ossessioni grazie all'aiuto e ai consigli dei morti che attraverso il sonno comunicavano con i vivi. Questo rito sardo si svolgeva probabilmente davanti alle tombe collettive protostoriche, le famose Tombe dei Giganti (vedi voce), ancora oggi visitate da alcuni poiche' considerate depositarie di influssi benefici.

Iskultone (o Skrutsoni):

Secondo alcuni si tratta di uno STELLIONE (o TARENTULA MAURITANICA) rimasto in letargo sotto terra per 10 anni. Secondo altre fonti si tratta di un serpente o di un rettile di grosse dimensioni, altri ancora lo descrivono come un drago dalla sette teste con una croce in cristallo sulla fronte che chi riuscira' a prendere avra' fortuna per 5 generazioni. In realta' nessuno l'ha mai visto, sia perche' queste specie di mostro si nasconde alla vista, ma anche perche' la sua comparsa e' assai pericolosa, il suo soffio, infatti, puo' uccidere, cosi' pure il suo sguardo.

Chi lo incontra, se non lo vede prima che lui lo veda, muore di colpo.

A Baunei, nella Sardegna orientale, ma piu' esattamente a San Pietro in Golgo, a qualche chilometro da una antica chiesa che porta questo nome, si apre una ampia e profonda voragine, comunemente nota proprio con il nome di "Golgo".

Anticamente gli abitanti del paese erano terrorizzati proprio da uno Scultone ma un giorno da quelle parti passo' San Pietro il quale, impietosito dalle richieste di aiuto si reco' sui monti alla ricerca del luogo nel quale il mostro aveva trovato nascondiglio. L'animale usci' allo scoperto fissando San Pietro in modo da ucciderlo con lo sguardo ma il Santo recava con se uno specchio per mezzo del quale neutralizzo' il potere dello Scultone. Afferrato per la coda lo Scultone venne sbattuto ripetutamente a terra, fino a quando il suolo non cedette inghiottendolo e lasciando aperta la profonda fenditura che ancora oggi e' visibile.

janas:

Le Fate tipiche dei racconti sul Piccolo Popolo e che non potevano mancare in una terra cosi' densa di fascino e mistero quale e' la Sardegna.

Posseggono tanti nomi, altrettanto misteriosi quanto le loro origini: YANAS, AYANAS, ARZHANAS, BAYANAS, BIRGHINES, VIRGHINES, sono donne minuscole, di straordinaria bellezza, che cantano, filano, tessono e si dedicano ai lavori domestici Possono predire il futuro decretando la fortuna o la sfortuna di una persona, Sono gentili ed affabili, ma riservate e timide, non si sposano e se non vengono disturbate, vivono nelle loro casette di roccia.

Secondo la tradizioni si rifugiarono un tempo a Lanaitu ma oggi sarebbero scomparse per sempre.

Ma come sempre accade nelle tradizioni popolari e nella Magia e Stregoneria stessa, ogni cosa ha un suo doppio e non puo' esistere senza di esso; in questo senso la jana e' anche una strega che si confonde con la fata. Eccetto che per alcune regioni dove mantiene il suo aspetto vampirico, la jana ha comportamenti tipici della sfera fatata. Se ci si avvicinava alle caverne che loro abitavano (le domus de janas) erano infatti capaci di stendere un velo bianco che ricopriva l'intera pianura incantando di meraviglia il viandante che veniva quindi rapito da servili nani crudeli. Queste leggende ricordano da vicino quelle piu' nordiche del Cerchio delle fate o delle grotte fatate.

Sono di aspetto piccino e bellissime, e tessono su telai d'oro. Si dice che proteggano le grotte naturali, i dolmen e i vecchi edifici e alcune erano in grado di predire il futuro. A volte abitano anche i nuraghi e in questi casi non sono minute ma anzi gigantesse dagli enormi seni.

Alcune pero' non erano pacifiche fate ma tipiche streghe malvagie: a Tona'ra, Isilli e Asu'ni vivono in caverne, rapiscono i bambini e hanno una regina, Sa Jana Mai'sta, che assale gli uomini che passano vicino alla sua grotta per succhiargli il sangue e poi rinchiudersi nella caverna e partorire dei figli.

Le janas quindi sono fate, in alcuni casi si cibano di sangue e hanno una Regina (Jana Maista).

Juale:

Come abbiamo gia' avuto modo di vedere alla voce sa femina agabbadora, l'usanza di mettere un piccolo giogo in legno sotto il cuscino del moribondo aveva, e sembra abbia ancora oggi, una valenza magica del tutto particolare.

Il giogo di un aratro o di un carro era considerato l'unico rimedio per coloro che "non riuscivano a morire" e veniva trattato con estremo rispetto, tanto che non doveva mai venire bruciato e se ritrovato in campagna non doveva essere assolutamente toccato per paura di commettere un sacrilegio. L'agonia prolungata di un moribondo veniva quasi sempre attribuita a cattive azioni che questo aveva compiuto durante la sua vita; questo suo comportamento impediva all'anima di lasciare il corpo e il rimedio consisteva nell'indirizzargli un segno di croce e fargli baciare il giogo che veniva in seguito posto sotto la sua testa.

Su Juale o Juvale veniva anche usato per facilitare il parto oppure per proteggere il bambino dalle Surbules (vedi voce), ma il suo fine ultimo era sempre quello di agevolare il trapasso; questa sua doppia valenza rispecchia in fondo il significato stesso del giogo, significato legato alla vita dei campi che dava la vita, il sostentamento, ma che era anche sinonimo di morte. Tutto nasce dalla terra e alla terra ritorna, in un ciclo continuo che non e' possibile sovvertire ma solo assecondare.

Anche la costruzione del giogo, divenuto nel tempo sempre piu' piccolo e piu' maneggevole, aveva un suo preciso rituale; durante la domenica delle palme oppure il giovedi' santo, si era soliti andare in chiesa portandosi dietro un rametto d'olivo, e mentre si commemorava la passione di Cristo, ovvero durante il suo trapasso dalla vita alla morte, si iniziavano a intagliare in tutta fretta tre tipi di Juale, a secondo dell'uso: Jualeddos (piccoli gioghi per aiutare il trapasso), Coreddos (piccoli cuoricini) e Ughitta (minuscole croci). Gli ultimi due manufatti venivano spesso portati nelle vigne o negli orti per proteggere le piante dal malocchio, ma anche donati alle mogli e alle fidanzate perche' produssero sano e abbondante latte.

Ricordiamo infine che l'usanza di porre un giogo di legno sotto il capezzale del moribondo o altri manufatti non e', come si pensa, una ritualita' esclusiva della Sardegna; proprio per le sue valenze magiche ricollegabili ad antichi culti con diffusione geograficamente eterogenea, ritroviamo tale pratica anche in Abruzzo, Calabria e Romagna, dove viene posta una pietra (segno indicativo del confine del campo) sotto il capo del moribondo. Lo stesso accade in alcune zone della Francia e in Sicilia dove, al posto del giogo, viene usata una matassa di filo di lino non ancora lavata.

Koga (Coga, Kogu):

Altro sinonimo per indicare una Strega, uno stregone, o un mago, maga)

Si tratta di una donna malvagia che vive ai margini della vita del paese, vestita sempre di nero, maleodorante, con il volto profondamente scavato. Conosce le erbe e le loro funzioni. Recita formule magiche, prepara filtri per il malocchio, costruisce bambole di pezza, prepara filtri d'amore.

Viene avvicinata solo da fidanzate disilluse o illuse, da mogli stufe e invidiose; conduce una vita miserevole lontana da tutti, temuta e disprezzata, senza lasciare in eredita' le sue terribili conoscenze.

Il nome deriva direttamente dalla pratica magica a base di erbe con le quali si preparavano filtri in particolare d'amore (appare una chiara origine dal latino coquere); femminile coga, maschile cogu, la "s" ne indica il plurale.

Queste streghe, presenti soprattutto al centro-nord e in particolare nel campidanese, sono particolarmente dedite alla magia e pregne di poteri personali, che sfruttano soprattutto nelle maledizioni e nel cambiare il proprio aspetto con quello di animali o fumo. Naturalmente si nutrono di sangue umano, come le altre streghe sarde, ma la loro caratteristica e' l'uso di arti magiche.

Lu Zampa Diaddu:

Nome di un diavolo che appare nel circondario di Nuxis (Cagliari) con la caratteristica di avere il corpo umano e le zampe di un gallo.

Luogosanto (Sassari):

Sul monte sono visibili due orme; secondo la tradizione una apparterrebbe a Gesu' Cristo mentre l'altra sarebbe del Diavolo in persona.

Malocchio:

Una delle maggiori espressioni della cultura magico popolare contadina in Sardegna e' costituita dall'immenso corpus di pratiche, credenze, tradizioni e antiche conoscenze legate al Malocchio.

Si tratta sicuramente di una delle credenze piu' radicate in quasi tutte le culture ma che in Sardegna, in special modo nei tempi antichi, era quasi una parte stessa della mentalita' e la sua presenza era cosi' forte e radicata da influenzare sia il quotidiano, sia tutti gli eventi piu' importanti della vita stessa.

Questa pratica, abbastanza semplice in apparenza, consiste nel provocare danno a cose e persone sia con lo sguardo che con il pensiero; nella sua forma piu' evoluta si avvale di veri e propri rituali durante i quali si interagisce con la vittima usando oggetti personali oppure una delle sue unghie, dei capelli o comunque qualcosa che sia strettamente legata al bersaglio da colpire.

Essendo la lingua sarda estremamente flessibile e varia da zona in zona, spesso i termini usati per indicare il malocchio variano ma il tutto e' sempre causato dalla volonta' di causare danno agli altri con lo sguardo e le parole, volonta' generata solitamente da un sentimento di invidia verso i beni della persona in questione: la bellezza, i soldi, i possedimenti.

Chi e' stato colpito dal Malocchio viene identificato tra le altre cose da una serie di eventi piu' o meno inspiegabili e insoliti come oggetti che si rompono da soli, piante che si seccano, animali che giacciono a terra in totale inedia.

Secondo la tradizione il malocchio non puo' essere fatto da un membro della propria famiglia: due persone che hanno lo stesso sangue non ne posseggono la capacita' e solitamente sono costrette a ricorrere ad un esterno, quest'ultimo puo' anche essere un cognato oppure una nuora. Stranamente sembra che le vittime piu' facili da colpire siano le donne mentre i portatori di malocchio piu' temuti sono gli uomini di lettere e i preti.

Cosi' come e' facile riconoscere colui o colei che si trova sotto l'influsso del Malocchio, allo stesso modo e' facile riconoscere chi e' un operatore; tradizionalmente coloro che sono strabici, oppure hanno un solo occhio o soffrono di catarratta o sguardo fisso vengono potenzialmente etichettatiu come "Occhiatori", cioe' coloro che sono in grado di lanciare il Malocchio.

Sono anche catalogati gli eventi che possono innescare il Malocchio: uno sguardo di ammirazione, una lode per la strada, sono attimi durante i quali puo' essere lanciato, volontariamente o involontariamente il Malocchio.

Anche in questi casi esistono semplici trucchi per evitare di farsi ammaliare; se ad esempio ad una lode fatta per strada si premette l'espressione "Chi Deus du mantenga" (che Dio lo protegga), la lode si dimostrera' sincera, priva di malizia e quindi non rivolta appositamente per mascherare il Malocchio.

Se per caso ci si dovesse dimenticare di recitare tale premessa, per evitare il Malocchio, il lodatore deve toccare l'oggetto del complimento, generalmente un neonato, esclamando "po non ti ponni ogu?" (per non metterti l'occhio).

Oltre all'atto del toccare, anche lo sputo possiede una valenza contro il Malocchio.

Il momento durante il quale bisogna stare molto attenti perche' propizio per lanciare il Malocchio e' la presentazione del bambino appena nato.

La madre, ancora a letto, teme gli iettatori, e per evitare l'occhio, fa toccare il bambino a tutti i visitatori, magari con la scusa di tenerlo in braccio. Se poi ha motivo di credere che qualcuno abbia posto l'occhio sul suo bimbo, non appena questo le volta le spalle sputa tre volte verso di lui per annullare la sua azione. Per evitare l'occhio, la cultura popolare ha prodotto anche parecchi tipi di amuleti, tutti di natura diversa.

Molto comuni sono gli amuleti circolari, proprio per richiamare la forma dell'occhio; vengono chiamati "Sabegias" e sono costituiti da pietre rotonde incastonate in oro o argento, per poter essere utilizzate come gioielli.

Is Sabegias simboleggiano l'occhio buono, che assorbe il flusso malefico del malocchio: non possono toccare la terra e nemmeno l'acqua pena la perdita dei loro poteri, e sono generalmente costituiti da ossidiana, basalto o corallo; in ogni caso devono essere di colore nero o rosso e molto appariscenti, secondo la tradizione popolare infatti, piu' e' ricco e vistoso l'amuleto piu' aumenta la sua efficacia contro il Malocchio.

Uno degli amuleti popolari piu' conosciuti contro il Malocchio e' "l'Occhio di Santa Lucia", ovvero l'opercolo di un mollusco marino, caratterizzato dalla forma ad occhio, che si trova facilmente sulle spiagge sarde.

A differenza dei Sabegias, gli occhi di Santa Lucia possono essere sia indossati come gioielli che tenuti nascosti. Si tratta di una pratica molto diffusa tanto da spingere alcune persone a farne addirittura collezione.

I Nudus sono degli scapolari usati come amuleti contro il Malocchio, ma esistono anche delle vere e proprie ricette per preparare personalmente le proprie difese; una di queste raccomanda una composizione di tre grani di sale, tre semi di asfodelo, verbena o valeriana; oppure, con fiori di lavanda e ruta; con pezzetti di palma benedetta; con tre grani di carbone o di basalto. Gli amuleti vengono chiusi da nastri verdi: questi hanno il potere universalmente riconosciuto di annullare l'occhio e di portare bene. Gli amuleti vengono tramandati generalmente seguendo la linea femminile, oppure vengono regalati dai nonni alla nascita del nipotino: non possono essere venduti, o perderebbero le loro facolta'. Segue la linea femminile anche l'insegnamento dei rituali che verificano l'esistenza del Malocchio e che lo tolgono.

I rituali a questo scopo sono molto simili tra loro, o meglio, sono la declinazione di uno stesso rituale di base che si ripete costante in tutta la regione, e in maniera simile in tutta Italia. In Sardegna, il rituale viene  chiamato " mejina de s'ogu" (la medicina dell'occhio) e, cosa importante da notare, cosi' come per quanto riguarda gli amuleti, chi e' a conoscenza di questi rimedi non puo' accettare soldi per l'esecuzione del rituale, altrimenti questo non avra' effetto.

Comune alle varie versioni del rito sono la presenza dell'acqua (che viene spesso incantata da una formula, ripetuta tre volte, del tipo "Eo, abba, ti battizzo in nomine de Deus e Santu Juanne Battista" (io, o acqua, ti battezzo in nome di Dio e S. Giovanni Battista), di una gestualita' molto precisa (si tracciano continue croci nell'aria, sul recipiente utilizzato, o sull'affatturato), e di formule segrete dette "oraziones" o "pregadorias". Nel Campidano si usa un bicchiere d'acqua santa oppure con sciolti dentro tre grani di sale; questo per purificare l'acqua e sostituire la benedizione del prete.

Successivamente si mettono tre chicchi di grano nel bicchiere, facendosi tre volte il segno della croce, e se i chicchi si gonfiano o presentano delle bollicine (in alcuni casi contano solo le bollicine che si formano sulle punte dei chicchi) e' presente il malocchio. In questo caso, si beve l'acqua, o la si butta alle spalle, o si toglie il malocchio con un occhio di Santa Lucia che si immerge nel bicchiere.

Un'altra versione prevede l'uso di olio, che viene versato tracciando una croce su un piatto o un bicchiere pieno d'acqua salata: tre gocce d'olio cadono dall'indice destro dell'esecutrice e dal comportamento delle gocce si definisce il grado di malocchio che ha colpito il malcapitato.

Il bicchiere deve poggiare, in questo caso, su un oggetto che appartiene all'infermo. Se il caso e' molto grave, gli si pone il bicchiere sulla testa e gli si asperge il corpo con la pozione ottenuta. A seconda del paese in cui si va, si utilizzano ciottoli di mare, braci accese, pietre magiche con una croce incisa. La figura rotonda delle bollicine richiama l'occhio, che allontanandosi dal chicco si allontana anche dall'infermo.

Le formule magiche sono segrete, rivelarle le priverebbe del potere: anche durante il rito si pronunciano a bassissima voce, per non farle sentire a nessuno. Ci sono alcune circostanze in cui vengono pero' comunicate.

Notiamo in conclusione la straordinaria somiglianza tra il rituale di ricerca del Malocchio con l'olio e lo stesso che avviene nelle campagne siciliane, ma soprattutto la sua straordinaria somiglianza con le abitudini in tal senso degli Zingari.

Riportiamo di seguito una delle tante formule usate in questi casi, ormai quasi priva di potere visto che e' stata svelata ma sicuramente utili agli studiosi e ai ricercatori delle tradizioni popolari:

Deus e sa Vergine Maria

Sia ainnanti a sa manu mia

Santu Roccu e Santu Sebastianu

Funti fraris carralis,

meigadoris de tottus is malis

e Santu Antiogu dottori,

in di deppi liai dogna dolu e dogna dolori

e sa Santissima Trinidadi

in di deppi liai dogna dolu e dogna dolori.

(Dio e la Vergine Maria stiano davanti alla mano mia. San Rocco e San Sebastiano sono fratelli germani, medici di tutti i mali, e Sant'Antioco dottore deve portar via ogni sofferenza e ogni dolore, e la Santissima Trinita' deve portar via ogni sofferenza e ogni dolore).

Maskinganna:

Il Maestro degli Inganni; si tratta di una voce che chiama i dormienti i quali si svegliano terrorizzati in un bagno di sudore. Altre volte appare invece sotto forma di uno spirito burlone, di bambino piangente o di un qualsiasi oggetto. Non avendo le sue azioni e le sue apparizioni un senso logico si pensa che tutto il suo strano comportamento sia volto esclusivamente a destare paura nelle persone.

Matriarcato:

La civilta' patriarcale, anche se ancora oggi poco conosciuta, ha avuto una lunga persistenza in Sardegna, soprattutto durante il Neolitico e l'Eneolitico.

Nei periodi successivi la divinita' del principio femminile si e' intrecciata al culto della dea Fenicia Tanit e, successivamente, alla Demetra/Cerere romana.

Malgrado le persecuzioni non soltanto ideologiche operate dal Cristianesimo, il culto del femmineo e' rimasto profondamente radicato in Sardegna e traspare nella quasi totalita' delle sue credenze e delle sue tradizioni. Le tracce archeologiche, prove evidenti della continuita' e della profondita' del matriarcato Sardo, sono disseminate in quasi tutta l'isola: dolmen circolari, menhir con seni scolpiti, necropoli, Domus de Janas.

Proprio queste ultime rispecchiano l'universalita' del culto; Jana infatti e' un nome comune a molte culture: Jaune per i Baschi, Uni per gli Etruschi, Juno e Diana per i Romani, Iune per gli abitanti di Creta, Ioni per l'Asia.

La manifattura di minuscole statue raffiguranti la Dea Madre o comunque un principio femminile non conosce sosta, particolarmente note la "Signora Bianca" di Turrigu e la minuscola Dea Uccello di Ploaghe.

Maureddos:

Conosciuti anche con il nome di Maureddini, sono dei piccoli geni, non troppo svegli, che vivono nel sud della Sardegna, in particolare nella provincia di Cagliari.

Si tratta di una specie decaduta, indossano calzoncini di panno, calze nere e la usuale berretta rossa ripiegata sulla cima.

Momotti:

Nessuno ha mai avuto modo di vederlo ma quasi tutti lo hanno sentito camminare proprio vicino al loro letto!

Momotti si aggira vestito di un grande mantello colore della notte che gli ricopre interamente il corpo; nella mano sinistra tiene una grande sacca dentro la quale sistema le sue prede, ovvero i bambini che non obbediscono.

Nuraghe:

Non si stupisca il lettore per la semplicita' del testo che accompagna questa importante voce; come gia' detto nella prefazione a questo libro, e' stata preponderante nella scelta delle voci e della lunghezza delle relative descrizioni, la convinzione di dare al lettore un testo divulgativo e veloce da consultare. In questo contesto ogni voce, Nuraghe compresi, e' da intendersi come punto di inizio e non di arrivo per la ricerca e l'approfondimento della stessa.

Attraversando il territorio sardo e' facile incontrare, con una certa frequenza, strana costruzione che prende il nome indigeno di Nuraghe, al plurale Nuraghi; sorgono spesso in posizione dominante, su un cucuzzolo, sul ciglio di un altopiano o di un burrone oppure all'imboccatura di una valle.

I Nuraghi si distinguono in due tipi maggiori: a tho'los (a sezione ogivale, simili alle Beehive micenee) e a bastione.

Sono delle torri di forma tronco-conica, costruite con blocchi di pietra sovrapposti a secco, senza malta, tenuti insieme dal loro stesso peso.

Il muro circolare puo' avere in certi casi lo spessore di quattro o cinque metri, la circonferenza esterna varia dai trenta ai cinquanta metri alla base e diminuisce a mano a mano che aumenta l'altezza.

Ne rimangono oggi circa 7.000 (8.000 secondo altre fonti, ma in passato oltre 20.000) sparsi dappertutto nell'Isola; di alcuni restano solo pochi resti.

Furono il centro della vita sociale delle tribu' dei nuragici, una delle civilta' piu' misteriose e meno conosciute della nostra storia. Ancora oggi archeologi e storici si interrogano sui costumi dell'antico popolo sardo ed il nuraghe e' tutt'ora il simbolo piu' noto della Sardegna.

I primi nuraghi iniziarono ad essere costruiti in un'epoca imprecisata, che pero' dovrebbe essere quasi certamente situata nel II millennio AC, e di alcuni si e' effettuata una datazione alquanto probabile di un periodo intorno al 1800 a.C..

Secondo il grande studioso della civilta' nuragica, Giovanni Lilliu, nella media Eta' del bronzo - attorno al 1500 a.C./1100 a.C. - si ebbe presumibilmente il maggior sviluppo di questi edifici. Nell'Eta' del ferro - dal 900 a.C. in poi - non furono costruiti nuovi nuraghi ma si continuavano ad usare le vecchie costruzioni, forse come luoghi di culto.

L'ingresso, il cui orientamento va da est a ovest, ma che molto spesso e' volto a sud, prevede l'impiego di un architrave poggiante su due piedritti, sormontato da finestrello di scarico. Alla camera del piano terreno, illuminata debolmente dalla luce che filtra dall'esterno, introduce un corridoio, dove trova posto, sul lato destro, una nicchia di guardia, la cosiddetta "garetta"; su quello sinistro, una scala ricavata entro la muratura ed a tratti schiarita da finestrini, che sale a chiocciola alle eventuali camere superiori e al terrazzo. Nelle pareti delle camere sono ricavate nicchie e stipetti.

Al nuraghe monotorre venivano spesso aggiunte altre torri, disposte variamente e collegate l'una all'altra da poderose murature, sovrastate da camminamenti: si hanno cosi' i nuraghi complessi, bilobati (con aggiunta di due torri), trilobati (con aggiunta di tre torri), quadrilobati (con aggiunta di quattro torri), pentalobati (con aggiunta di cinque torri).

Fra la torre centrale e i corpi aggiunti erano ricavati dei cortili che consentivano la comunicazione fra gli ambienti.

Nei nuraghi a pianta complessa veniva poi aggiunta una ulteriore cinta esterna di torri collegate l'una all'altra da murature: quello che viene detto antemurale .

Ma quale era la funzione di queste particolari costruzioni? E quale scopo avevano le torri?

L'ipotesi piu' accreditata e' che avessero una funzione civile: ci si viveva e si vigilava sul territorio circostante. In situazioni di emergenza, di lotta tra clan, coloro che non partecipavano al combattimento, gli inermi, potevano trovare provvisorio rifugio entro le poderose murature. Ma la probabilita' che si trattasse al contempo di veri e propri luoghi di culto sembra non sia da escludere; alcune di queste costruzioni presentano infatti precisi riferimenti astronomici, e la scelta accurata del luogo della loro costruzione fa pensare a veri e propri osservatori celesti.

Tra i tanti motivi che portano a pensare ai Nuraghi come luoghi di culto sono da riportare l'assenza di ritrovamenti legati al cibo e alle attivita' domestiche, la loro intrinseca scomodita' se usati come abitazioni, il fatto che le nicchie avessero la funzione di contenere le spoglie dei defunti, cosa che lascia supporre l'impossibilita' di abitarvi. Di questi resti non e' pervenuto nulla durante gli scavi ma rimane la testimonianza del generale La Marmora che attesta la presenza di resti umani nelle nicchie dei Nuraghi.

Paganos:

Secondo la leggenda popolare si tratta di demoni dalle  proporzioni enormi, dotati di forza sovrumana, pelosi e rivestiti di pelli animali.

Mangiavano carne cruda e uccidevano i vecchi per non dare loro da mangiare. Venivano messi in contrapposizione con Dio, mentre per gli altri demoni il problema non esisteva.

Ai paganos venivano attribuite tutte le caratteristiche che si credevano proprie dei sardi non ancora convertiti al cristianesimo.

Si tratta in poche parole di un attributo che la Chiesa, in piena espansione, diede alla popolazione della Sardegna, ancora legata alle vecchie Tradizioni ma e' interessante notare la contrapposizione dei Paganos con la figura di Dio, un concetto proprio della figura tradizionale del Demone che ha una propria origine divina, origine in seguito negata dalla Chiesa che relego' sotto il potere del Diavolo qualunque cosa o personificazione non appartenesse al bene.

Paltuggiana:

Appartiene alla famiglia delle Panas (vedi voce) ma e' abbastanza particolare; e' solita cantare una ninna nanna mentre lava i panni e in questo modo fa penitenza per due anni. Se durante questo suo "lavoro" viene incautamente disturbata la Paltuggiana si vendichera' spruzzando i panni sull'incauto disturbatore e le gocce d'acqua gli bruceranno il viso e le mani. Sia la Paltugianna che le Panas sono parenti della grande famiglia delle Lavandaie Fatate.

Panas:

Sono donne morte di parto condannate a tornare sulla terra, nelle ore notturne, e a recarsi al fiume, per lavare i panni del parto, macchiati di sangue e le fasce del bambino. Per evitare tale condanna si usava mettere nella bara della puerpera un ago infilato col filo non annodato, in tal modo la defunta rimaneva occupata a cucire il corredo per il bambino e tralasciava di andare a lavare al fiume.

Sono molto diffuse in tutta la Gallura e nel circondario di Cagliari, una dei posti che sono solite frequentare e' il fiume Pizie'dda, vicino a Sartores.

I panni lavati dalle Panas vengono sbattuti con delle ossa di morto e se qualcuno le interrompe queste sono costrette a riprendere il loro lavoro. L'unico modo per liberare queste infelici creature e' quello di recarsi al fiume e lavare i panni al posto loro.

Pozzi sacri:

I pozzi sacri, chiamati anche templi a pozzo, sorgevano quasi sempre in corrispondenza di una fonte ed erano i luoghi in cui i nuragici praticavano il culto delle acque, elemento fondamentale della loro religione.

Presenti in tutta la Sardegna, essi possono essere tuttavia molto diversi fra loro, il tipo piu' comune prevede un pozzo circolare costruito con blocchi di pietra squadrati, a cui si accedeva tramite dei gradini che dalla superficie arrivavano sino al livello dell'acqua; al di sopra il pozzo puo' essere circondato da bassi recinti circolari in pietra, oppure sormontato da un piccolo edificio.

I templi a pozzo hanno una struttura composta di tre parti essenziali: il vano di ingresso, al livello del suolo, la scala che scende nel terreno e il vano interrato, con la volta a tholos. Sul fondo del vano interrato, ai piedi della scala c'e' la fonte sacra. In superficie un recinto di pietre delimita l'area sacra.

In Sardegna esistono circa 40 templi a pozzo: notevoli sono quello del santuario di Sta. Vittoria di Serri (CA), quello del santuario di  Paulilatino (OR) e il pozzo sacro Su Tempiesu presso Orune (NU), che si discosta un po' dalla struttura classica.

Pozzo bulgaro:

Negli anni Ottanta, una archeologa bulgara, Dimitrina Mitova Djonova, porto' alla luce un mistero archeologico che avrebbe fatto molto parlare e che avrebbe gettato un ponte tra la Sardegna e la Bulgaria.

Il ritrovamento cosi' sensazionale fu un pozzo sacro proprio in Bulgaria, sulle sponde del Mar Nero

L'originalita' della scoperta non fu il reperto in se stesso quanto la sua straordinaria somiglianza con i pozzi sacri tipici della Sardegna, soprattutto con quelli di di Ballao e Paulilatino. I risultati della scoperta furono pubblicati nel 1983 ma passarono del tutto inosservati; soltanto nel 2003 le ricerche vennero riprese da parte di un ingegnere cagliaritano studioso di storia della Sardegna, Massimo Rassau, con il supporto di Alessandro Calia (vicepresidente dell'associazione culturale "Sardica" di Sofia).

Secondo gli studi effettuati si tratta di una vera e propria "anomalia" archeologica, in effetti quel pozzo non dovrebbe esistere, tranne che gli antichi sardi non fossero giunti in quella zona e non ne avessero curato la costruzione.

I pozzi sono esattamente identici e il mistero su chi costrui' il manufatto in Bulgaria e perche' restano ancora da spiegare; e' da escludere che due popolazioni cosi' geograficamente e culturalmente lontane siano riuscite a risolvere il problema idrico allo stesso modo e questa premessa potrebbe far ipotizzare che gli antichi abitanti della Bulgaria giunsero fino in Sardegna o viceversa.

In ultima analisi e al fine di esaminare tutte le possibilita', e' anche doveroso registrare che la tipologia costruttiva di una fonte, un pozzo o una cisterna circolare con falsa cupola alla quale si accede tramite una scala, e' presente in altre aree che si affacciano sul Mediterraneo: Palestina, Creta, Grecia e Turchia. Tali somiglianze porterebbero ad affermare che quelli presenti in Sardegna non sono elementi esclusivi dell'Isola".

Alcuni autori stranieri ipotizzano che questo tipo di costruzione sia da attribuire alla civilta' micenea e in ogni caso rimane il fattore temporale; le costruzioni alle quali e' stata riconosciuta la valenza di pozzo sacro risultano essere geograficamente sparse ma ascrivibili a periodi storici molto diversi e lontani tra loro.

Unica matrice che li accomuna potrebbe essere ed e' sicuramente quella religiosa, eppure una traccia che porterebbe all'ipotesi di navigatori Sardi in Bulgaria esiste e sarebbe auspicabile uno studio molto piu' approfondito in tal senso.

Questa sottile "prova", questo esile filo che potrebbe unire storicamente le due regioni, si trova proprio in un saggio della stessa archeologa bulgara, Dimitrina Mitova Djonova; si tratta di uno studio sulle migrazioni dei popoli semiti nei territori dell'attuale Bulgaria, pubblicato in "Bulgarians and Jews", nel quale la migrazione dei Sardi verso le aree dell'Asia Minore viene evidenziata dai "toponimi etnici" che iniziano per Sard o Serd. In Lidia gli abitati di Sard e Sardis. In Misia la citta' di Sardesos e la montagna di Sardene. In Tracia dalla localita' di Serdi o Sardi, e in ultimo proprio l'antico nome di Sofia, capitale della Bulgaria che era Serdika o Sardika.

Pozzo di Santa Cristina:

Gia' nell'antichita' e da sempre, nell'immaginario collettivo, il pozzo non possedeva soltanto valenze di natura civile ma anche magiche e iniziatiche.

La magia dei pozzi e', ad esempio, un elemento costante in ambito celtico, cosi' come facile per i piu' smaliziati e' l'accostamento del pozzo alla figura del Santo Graal, entrambi contenitori, entrambi collegati all'antica, unica religione, quella legata alla dea Madre.

Il pozzo quindi non e' soltanto il luogo nel quale si raccoglie l'acqua per l'intera comunita' ma anche lo spazio deputato ai vari riti di purificazione, iniziazione, divinazione e contatto con il mondo ultraterreno; funge anche da tramite tra il cielo e la terra, non dimentichiamo in tal senso i pozzi delle Cattedrali Gotiche.

La tipica e diffusissima espressione "trovare la luna nel pozzo" e' fortemente legata a quanto appena detto, esprime infatti il desiderio popolare di realizzare qualcosa attraverso l'intercessione nell'ambito della sacralita' di questi luoghi, e per avere una idea precisa di questa mistica prospettiva, cercando di carpirne i segreti, non possiamo non fare riferimento ai pozzi sacri che si trovano in Sardegna, in particolare al Pozzo di Santa Cristina.

Il sito si trova nei pressi di Osristano ed e' anche conosciuto come Pozzo Nuragico o Pozzo Sacro; il nome Santa Cristina proviene da una piccola chiesa costruita nelle vicinanze.

Dalla scalinata centrale si accede all'omphalos, espressione legata all'idea del centro, punto sacro per eccellenza; proprio al centro si raccoglie l'acqua, acqua che secondo le popolazioni preistoriche aveva poteri terapeutici, sembra infatti che la divinita' delle popolazioni nuragiche dimorasse nell'acqua e sempre qui si svolgessero particolari cerimonie legate sempre all'acqua. La copertura del pozzo , detta a Tholos, e' una falsa cupola con un foro sulla sommita',che aveva varie funzioni, tra queste ricordiamo la piu' interessante: ogni 18 anni e mezzo, ovvero ad ogni anno lunare e quando la sua declinazione e' massima, la luna va ad illuminare una persona posizionata in una particolare nicchia del pozzo; da non trascurare anche l'angolazione del pozzo, orientato in maniera particolare in modo che durante gli equinozi il sole illuminasse la scalinata e giungesse fino all'acqua. Quali fossero le vere funzioni del pozzo non e' ancora del tutto chiaro; secondo alcune teorie sarebbe il luogo deputato al culto delle acque, ma in questo caso si tratterebbe soltanto di uno dei posti consacrati ad una religione antica rispetto alla quale i misteri sono ancora piu' fitti del pozzo stesso.

In riferimento ad un culto delle acque si potrebbe parlare del Pozzo di Santa Cristina come del luogo sacro nel quale si svolgevano i riti della fertilita' e della purificazione, anche se risulta difficile; la donna scendeva nel ventre della Dea Madre Terra e immergendosi nelle acque riceveva il principio celeste che, appunto ogni 18 anni e mezzo, si ricongiungeva con il principio femminile-terra.

Questo particolare rito ricorda molto da vicino i riti di purificazione messi in atto dai sacerdoti egizi, riti che avvenivano per immersione e che sono convogliati nel Cristianesimo sotto l'aspetto del sacramento del Battesimo.

Non a caso viene fatto questo accostamento tra Antico Egitto e Sardegna, infatti i Pozzi Sacri della Sardegna sono molto simili ad altre costruzioni che ritroviamo proprio nell'Antico Egitto; in particolare l'accostamento fra il pozzo di Santa Cristina e quello di Kom Ombo e' quasi obbligatorio, soprattutto perche' si tratta di due edifici attribuibili alla stessa idea di di culto.

Risalendo il corso dei Nilo, dopo svariate tappe tutte estremamente interessanti, si giunge nell'Alto Egitto a Kom Ombo, 165 Km a sud di Luxor (l'antica Tebe). Kom Ombo e' situata su di una collinetta che guarda il Nilo in un sito dove il fiume fa un'ampia curva verso ovest. Punto strategico nell'antichita' sulla strada dei deserto per la Nubia e l'Etiopia. Qui vi sono due templi d'eta' Tolemaica dedicati al dio "dalla testa di falco" e a Sobek il dio coccodrillo. Vicino questi templi principali ci sono altre costruzioni molto piu' antiche e tra queste una struttura completamente uguale al pozzo di Santa Cristina.

A questo punto viene quasi spontaneo un collegamento fra la civilta' sarda e quella egizia, o , meglio ancora, si potrebbe ipotizzare una comune origine tra le due popolazioni di origine Sumera.

Presagi di morte:

Nelle comunita' agro-pastorali, fenomeno molto esteso in Sardegna, la Morte era vista come una vera e propria presenza, qualcosa che si confondeva con la vita di tutti i giorni, un personaggio misterioso e invisibile che viveva accanto agli uomini e, non visto, ne portava via qualcuno. In tal senso era qualcosa da temere e da rispettare allo stesso tempo e nulla doveva essere lasciato al caso quando si trattava di avere a che fare con i defunti e con il loro misterioso mondo.

I riti che avevano per oggetto la morte e i defunti coinvolgevano tutta la comunita' e spaziavano dalla sistemazione degli oggetti religiosi nella stanza del defunto, ai rintocchi funebri della campana nella chiesa parrocchiale, le ultime visite dei parenti e degli amici, fino alla partecipazione al lungo corteo che si snodava dall'abitazione fino al cimitero. Subito dopo un lutto, la vita e le attivita' quotidiane riprendevano normalmente solo dopo qualche mese, quando anche le visite al cimitero si diradavano gradualmente. Alla base di questi rituali e delle credenze ad essi collegati risiede ovviamente un atteggiamento di esorcismo nei confronti della morte e della paura che questa incute, paura dettata maggiormente dal fatto che si tratta di un evento estremo al quale non e' possibile porre rimedio e del quale non si conosce ne la causa ne il fine ultimo.

Si trattava di un evento atteso con estrema rassegnazione ma, anche se non esistevano rimedi, era forse possibile tentare di prevenirla, ovvero di sapere in anticipo quando la Morte avrebbe colpito. A tale scopo, l'intuizione di un senso particolare degli animali che permette loro di "sentire" in anticipo avvenimenti violenti e luttuosi, fu la scintilla per elaborare l'idea che potevano esistere sei segni premonitori, segni che avrebbero annunciato la prossima scomparsa di un membro della comunita'.

Individuati i segni questi vennero codificati; gli uccelli, soprattutto quelli notturni visto che la figura stessa della Morte richiama questa parte del giorno, erano ritenuti messaggeri di eventi luttuosi qualora si posassero sul tetto di casa.

Lo stesso potere "divinatorio" veniva attribuito al cane il quale, secondo le antiche tradizioni, comunicava con i suoi ululati la presenza di morti tra i vivi.

Altri presagi erano costituiti dal gallo che cantava prima di mezzanotte, oppure dal passaggio di una cometa. Un alone rossastro intorno alla Luna, lasciava invece presagire uno spargimento di sangue; anche lo scorgere una stella in vicinanza della Luna faceva presagire la morte violenta di un individuo della comunita'.

Ma l'aspetto piu' interessante e denso di significati e' quello onirico, ovvero degli avvertimenti o presagi di morte che si potevano trarre dai sogni.

In questo caso erano da prendere in considerazione i soli sogni fatti dopo la mezzanotte.

Cattivo presagio in sogno era se i morti ripetevano per due volte la frase "fulanu est mortu" (tizio e' morto), se baciavano o mandavano a qualcuno i saluti, se convincevano il sognatore a seguirli o vincevano nella lotta con persone vive; era considerato anche di cattivo auspicio accettare un regalo in sogno da parenti, amici o conoscenti non defunti; oppure la visione del ballo dei morti, che indicava l'invito ad unirsi alla compagnia danzante.

Pundos:

Si tratta di strane bestiole o piccoli mostri che vengono partoriti al posto dei bambini secondo una credenza originaria di Nuoro.

I vecchi del luogo raccontavano che molto tempo fa, una donna partori' un animaletto, un Pundos, che assomigliava ad una rana; appena venuta alla luce la strana creatura sguscio' sotto il letto e spari' per sempre.

Puzzinosu:

Si tratta di uno spirito malvagio che vaga nelle notti senza luna a Palau (Sassari).

Secondo la tradizione locale questo essere rivolge la sua attenzione soprattutto sui bambini tanto che anticamente gli abitanti del luogo erano soliti sputare vicino ai bambini al fine di allontanare questa inquietante presenza.

Riti di trapasso:

La morte segna un confine che ogni cultura e spiritualita' ha interpretato e vissuto in modo diverso; il mondo agro pastorale che caratterizzava la Sardegna di un tempo si e' dovuto confrontare con questo lugubre appuntamento e lo ha fatto con ritualita' e credenze che sopravvivono ancora oggi. Il concetto di morte degli antichi Sardi era molto differente da quello introdotto dal Cristianesimo, si trattava di un passaggio inevitabile ma che non comportava un distacco definitivo; i defunti continuavano ad interagire con i vivi in maniere e forme diverse; da questa cultura nascono i corpi conservati nelle nicchie dei Nuraghi, le Tombe dei Giganti e tutto l'apparato di credenze e tradizioni oggi considerate folclore ma che esprimono, in realta', una antica concezione della vita e della morte dalla quale forse avremmo molto da imparare.

I riti o credenze del trapasso venivano posti in atto quando la morte "stentava" a prendere il moribondo, in questi casi, durante le lunghe agonie, scattavano quasi istintivamente comportamenti atavici che facevano capo ad un corpus di credenze molto antico.

La preoccupazione maggiore veniva data dalla difficolta' che incontrava l'anima nel lasciare il corpo; malgrado il cristianesimo promulgasse la sua tesi legata alla sofferenze che accresce la fede, in realta' si faceva di tutto affinche' proprio questa sofferenza durasse il meno possibile. Il contrasto con gli insegnamenti della Chiesa era evidente, soprattutto nella credenza che bisognava spogliare sia il moribondo che la stanza di tutti i simboli cristiani, proprio perche' questi impedivano all'anima di uscire.

Allontanare i familiari dal letto di morte era spesso indispensabile, in quanto il loro affetto tratteneva l'anima impedendone l'uscita, lo stesso si pensava per gli oggetti di valore o, comunque, per qualunque cosa fosse stata intensamente legata al moribondo in vita; in casi estremi si ricorreva anche a scoperchiare una parte del tetto in modo che l'anima trovasse lo spazio per abbandonare il corpo dell'agonizzante.

Sa Mama e su Bentu:

Nelle giornate di vento passa accompagnata dal marito Uragano, seguita dai suoi figli, sempre affamati e alquanto scostanti.

Quando e' di malumore graffia il volto dei bambini disobbedienti.

Sa mamma 'e su soli:

Prende a legnate in testa chi esce da solo dopo aver mangiato nei pomeriggi d'estate.

Si tratta di una vecchina ricoperta da un lenzuolo bianco che si aggira nelle ore assolate in cerca di bambini disobbedienti che non riposano dopo pranzo. Se li trova brucia loro la fronte costringendoli a letto con un forte febbrone e una cicatrice.

Sa Missa Profonda:

Atico rituale necessario perche' i dannati accettino la condanna eterna all'inferno.

Si tratta di una liturgia particolare celebrata con candele nere alla quale assistono solo i defunti. Non bisogna andarci se non invitati, si rischierebbe di impazzire per lo spavento. I partecipanti devono essere uomini molto coraggiosi e armati, i quali hanno il compito di sparare durante l'elevazione.

Sa Musca Macedda:

Mosca dalle proporzioni enormi (grande come la testa di un bue) generalmente fornita di un pungiglione velenosissimo e di ali potenti, il cui ronzio viene sentito a chilometri di distanza. A causa della Mosca Macedda sono scomparsi addirittura interi paesi, mentre si racconta che i tanti sotterranei che percorrono la Sardegna vennero costruiti apposta per sfuggire a questo orribile mostro.

Una antica leggenda di Iglesias racconta di un frate che suono' una musica formando, con l'aiuto della popolazione, un cerchio magico, grazie al quale riusci' catturarne un intero sciame, sistemando le mosce in sette botti, che ancora oggi sono nascoste sotto il castello.

A Sardara (Cagliari) e' ancora vivo il ricordo della distruzione della piccola localita' di Sardaredda da parte di questo terribile mostro, secondo la tradizione una cassa posta sotto l'altare della chiesa rurale conserva ancora oggi un esemplare di Musca Macedda.

Sa Surbile (su'rbentile, su'rbile, su'rvile, su'yvile:

Molti simili ai Vampiri e alle Lamie. Sono persone viventi, che conducono una vita abbastanza normale ma che sono attratte in maniera irresistibile dal sangue dei bambini; per soddisfare questa loro insana fame riescono a trasformarsi in mosche.

Per riconoscere questi esseri estremamente pericolosi basta fare attenzione ad alcuni particolari: la Surbile e' molto brutta, tiene un portamento trasandato, porta i capelli spettinati, le unghie lunghe ed e' ricca di peli su tutto il corpo; su quest'ultimo punto e' bene ricordare come alcune tradizioni locali ricordino che il piu' delle volte le Surbiles hanno una croce pelosa sulla schiena.

Come e' facile desumere da quanto appena detto si tratta di personaggi assimilabili alla figura delle Streghe ampiamente nota in tutta Europa; a sostegno di questo basti pensare che i modi per diventare una Surbile sono esattamente gli stessi che la tradizione popolare della Stregoneria indica, ovvero:

1) facendo un patto con il diavolo

2) nascendo la notte di Natale, a mezzanotte.

3) nascendo settima figlia femmina.

I paesi nei quali le Surbiles hanno una grande notorieta' sono Villacidro e Bidoni'.

Il nome indica molte realta' diverse a seconda della zona in cui viene usato: a Marghine il termine surbentile significa vampiro, a Ghilarza invece folletto.

Si tratta di uomini o donne, come le cogas e i cogus, che per lo piu' vengono indicati con la pratica preponderante di bere il sangue umano, ma e' vero anche che prendono significati diversi in base alla zona, cosi' diventano addirittura dei folletti domestici (sa surtora al femminile, sa surtore al maschile) che portano uno o piu' copricapi che contengono sempre il numero 7 (sette cappelli, sette pieghe, ecc...) e che nascondono un tesoro.

Nel Logudoro abita la tribu' dei Surviles mentre nel Nuorese quella delle Surtiles. Tra i tanti poteri che animano questi esseri uno in particolar modo e' molto temuto, quello di entrare dai buchi delle serrature quando soffia il vento; proprio per questo motivo si usa a volte tappare i buchi delle serrature oppure sistemare una falce affilata accanto al letto.

Santulussurgiu:

La chiesa di San Leonardo si trova a Santulussurgiu (Oristano) e rappresenta una delle rare testimonianze visibili della presenza dei Cavalieri Templari in Sardegna.

Originariamente la mansione si trovava a quasi 700 metri di altitudine, in una zona ricca di sorgenti di acque minerali e fu probabilmente questo, unito alla salubrita' dell'aria, che spinse i Templari a insediarsi proprio in questa zona. In relazione a questo fatto e' da considerarsi anche che la Sardegna, durante il Medioevo, era una terra inospitale per via delle numerose paludi costiere, in questo senso San Leonardo sorgeva in una posizione privilegiata.

Quello che rimane oggi e' la piccola chiesa con annesso l'edificio dell'ospedale che appartiene ancora ai Cavalieri di Malta. La struttura e' discretamente conservata e subi' degli ampliamenti durante il XIII e il VIV secolo. La facciata presenta due porte d'ingresso delle quali una, la piu' antica, e' stata murata; sul fianco destro della chiesa spiccano due croci di Malta mentre una terza croce si trova sulla campana di bronzo.

Ancora oggi la chiesa di San Leonardo de Siete Fuentes e' meta di pellegrinaggi in onore del santo.

Nel XII secolo l'intero complesso venne affidato ai monaci benedettini i quali gestivano altri due edifici annessi: un ospedale e un oratorio; quando subentrarono i Templari, il primitivo insediamento divenne una fiorente precettoria con annesse vaste e ricche proprieta' nei dintorni.

Tra le tante storie che si narrano intorno a questo sito, forse quella piu' aderente alla realta' storica riguarda Guelfo della Gherardesca, uno dei figli superstiti del Conte Ugolino, la cui famiglia aveva vasti possedimenti nell'isola.

Quando Guelfo seppe dell'uccisione del padre e dei fratelli, levo' le armi contro le milizie pisane e catturo' uno dei colpevoli, Giovanni Gubatta.

L'uomo venne trascinato nel castello di Monreale, le cui rovine si possono scorgere sopra un'altura del Campidano, presso Sa'rdara, e venne strangolato dallo stesso Guelfo.

Sconfitto dai pisani, Guelfo della Gherardesca vago' per tutta la Sardegna fino a quando non trovo' rifugio proprio nel convento di San Leonardo de Siete Fuentes, dove termino' o suoi giorni.

S'Attitadora:

S'attitadora era una donna, generalmente anziana, che appena veniva a sapere che era morto qualcuno si recava a casa del defunto e da sola o in compagna di altre attidadoras o parenti, cantava is attitus, particolari cantilene,  per esprimere il dolore per la persona morta.

Con is attitus si ricordavano e lodavano le buone azioni ed i comportamenti positivi della vita del defunto, i sacrifici e le privazioni affrontate durante la vita.

Is attitus erano generalmente improvvisati, ma qualche volta si cantavano attitus gia' eseguiti altre volte ma che si adattavano all'occasione.

Il canto era accompagnato dal movimento delle braccia che venivano sollevate in alto e fatte ricadere sulle ginocchia o sulla bara per esprimere il dolore.

Particolarmente toccanti erano is attitus quando moriva un giovane.

Sassi stregati:

Si dice che in Sardegna esistano dei luoghi particolari, come del resto in quasi tutta Italia, dove le pietre e i sassi hanno "qualcosa" di misterioso, incutono timore e inquietudine.

Vicino ad Aggius (Sassari) c'e' un monte chiamato "di la crucetta", in cima si trova un grosso sasso ballerino chiamato "lu monti di lu tumburu"; secondo la tradizione popolare si tratterebbe di un sasso del Diavolo.

Il giogo pietrificato, "lu juu marmuradu", si innalza invece vicino al villaggio di Tresnuraghes (Oristano). Assomiglia ad una pietra ma un tempo era un contadino che non essendosi scoperto il capo mentre passava la processione di San Marco, venne trasformato in pietra.

La stessa cosa sembra sia accaduta ad una donna che aveva riso vistosamente  durante la cerimonia chiamata S'ardia (la guardia), cerimonia che si tiene per la festa di San Costantino. Per questa sua irriverenza, la donna venne tramutata in un monolite, lo stesso che si puo' ancora vedere nel circondario di Sedilo (Cagliari).

Scrittura:

I popoli Nuragici erano molto abili nel forgiare le armi e lavorare il bronzo, avevano conoscenze di quelle che si potrebbe definire una forma di "chirurgia primitiva" (in alcuni casi si ricorreva alla trapanazione del cranio) e, soprattutto, erano degli esperti navigatori.

Tutte queste doti darebbero l'idea di un popolo altamente evoluto eppure, stranamente, sembra non conoscessero la scrittura!

Non esistono testimonianze scritte e malgrado la loro evoluzione non fondarono mai delle vere e proprie citta', motivo per il quale probabilmente non si formo' neanche il ceto degli scribi e non si presento' la necessita' di tenere, ad esempio, una contabilita' delle merci.

Malgrado di tanto in tanto si legga di notizie concernenti la scoperta di tavolette con iscrizioni nuragiche, non esiste alcuna prova a sostegno; l'unica notizia degna di nota sembra riguardare l'interpretazione effettuate nel dicembre 2004 da parte dello storico Gigi Sanna dei segni incisi su quattro tavolette, forse impiegate nei riti sacri.

Le tavolette in questione sembrano contenere delle invocazioni rivolte al Dio Toro e potrebbero permettere la ricostruzione dell'antico alfabeto Nuragico.

In attesa di ulteriori conferme, rimane comunque il mistero e si amplia ancora di piu' la lista dei fatti da spiegare relativi alla Sardegna antica.

Shardana:

Una teoria estremamente interessante e molto ben documentata e' quella proposta dallo scrittore e studioso Leonardo Melis nel suo libro "Shardana I Popoli del Mare" edito dalla CDE, scritto insieme a Vittorio Melis.

Gli Shardan, potente tribu' di DAN proveniente dall'Asia Minore e scomparsi alla fine del secondo millennio a.c., vennero chiamati anche Sherdan in Medioriente, Eraclidi dai greci, Tirreni in Italia, Corsi in Corsica e Nure proprio in Sardegna.

A partire dal terzo millennio a.C. si diffusero in tutto il mar Mediterraneo, fondendosi con le popolazioni locali; si distinsero come grandi navigatori, commercianti, architetti, fabbri, guerrieri e mercenari.

Il dio eroe delle origini fu Sandan (Sardan, Sardus); gli Shardana non crearono mai un vero e proprio impero o un regno unico, preferirono le Citta'-Stato, adattandosi soprattutto alle varie realta' dell'epoca, alcuni si schierarono con gli Egizi, altri con gli Ittiti e gli Achei.

La divinita' principale fu la Dea Madre, simboleggiata con i diffusissimi idoli femminili a braccia aperte molto simili ad una croce, anche questo simbolo antichissimo le cui varianti si perdono nella notte dei tempi.

Una interessante scoperta effettuata da Bruno Marcolongo, geologo, ricercatore del CNR, incaricato dal Prof. Acquaro, conforterebbe la tesi di Melis; il ritrovamento infatti del porto sommerso dell'Antica Tharros (Oristano - Sardinia) confermerebbe il fatto che le antiche citta' sarde della costa non sarebbero state fondate nell'VIII e IX secolo a.C. dai Fenici, come finora si era creduto, ma dai Popoli del Mare, gli Shardana, nel XIII secolo se non addirittura nel XIV sec. a.C.

Sos orzos:

Usanza molto comune a molti paesi delle Sardegna che si svolgeva durante la Notte di San Giovanni (periodo dalle innumerevoli valenze magiche) e che aveva come protagoniste sas bajananeddas, le ragazze non ancora maritate, le quali ricavavano pronostici legati alla sfera amorosa dai grani d'orzo.

Il 24 giugno, in ogni casa, le ragazze si riunivano attorno ad un catino pieno d'acqua e a turno mettevano due grani d'orzo (vestito, non mondo) a galleggiare nell'acqua, prima pero' sollevavano per meta' la pula in modo da formare una sorta di vela. Ad uno dei due semi d'orzo si dava il nome della ragazza e all'altro quello del ragazzo a cui si aspirava, e dal comportamento dei grani abbandonati sull'acqua, si cercava di capire se tra i due ci sarebbe stato un rapporto d'amore e un eventuale matrimonio.

I chicchi galleggiando sull'acqua assumevano subito un certo movimento, dovuto in parte alla reazione del glutine al contatto con l'acqua, e in parte al respiro delle ragazze chine sul catino. Nel caso che i due semi, muovendosi, venivano a contatto l'uno con l'altro e vi rimanevano abbastanza a lungo, il pronostico era favorevole. Se al contrario il chicco che rappresentava il ragazzo se ne andava per suo conto, o peggio ancora, dopo essersi accostato alla compagna, se ne allontanava immediatamente, allora il pronostico era sfavorevole. In questo caso il gioco continuava e le ragazze cambiavano il nome del giovanotto fino a quando non trovavano quello disposto ad affiancarsi e rimanervi abbastanza a lungo.

Spauracchi:

Babau, lupo cattivo o uomo nero. Gli spauracchi per educare i bambini sono sempre esistiti e non fa certo eccezione la tradizione sarda.

In Sardegna ne esistono moltissimi quali Palpae'ccia notturna che punisce i bambini che non mangiano, oppure la Maria Puntao'ru che al contrario punisce i golosi armata di lancia per aprirgli la pancia, Zio Mase'du invece li rende mansueti ma c'e' anche il temuto Mommo'ti nel Campidano che come Marrago'tti, Mummuio'ne, Bobbo'i, Bobo'tti e l'Uomo del Sacco gira avvolto in un mantello con un grande sacco dove infila i bambini fastidiosi.

Gli spauracchi femminili invece sono spesso una eco di antiche divinita' e hanno nomi propri seguiti da un complemento di specificazione come sa mama 'e su bentu, sa mama 'e su sole oppure sa mama 'e funtana. Queste erano invocate in particolari situazioni: sa mama 'e su bentu (vento) per farli rimanere in casa in presenza di troppo vento, sa mama 'e su sole quando il caldo era troppo forte nelle ore pomeridiane, sa mama 'e funtana abitava i pozzi e le acque, allo stesso modo di Maria Puzzu, Maria Farranca o Maria Branca.

Stria, strie:

Dal latino, uccello notturno, nome usato in molte zone d'Italia per indicare le streghe.

Tra tutte essa appare le piu' vicina a pratiche demoniaco-malefiche a causa del perpetuarsi in Sardegna della credenza romana, secondo cui la strige (la civetta e/o per somiglianza il barbagianni) uccide i neonati nella loro culla succhiandogli il sangue, mantenuta nell'isola fino oltre la seconda meta' del 1700. Nel contempo i sardi attribuivano a questo animale anche proprieta' terapeutiche tanto che bruciandone le piume e bevendone con acqua le ceneri si aveva un ottimo rimedio contro l'itterizia.

Cosi' si ha una strega dal duplice aspetto e dai vasti poteri: guaritrice ma anche assetata di sangue d'infanti, che terrorizza e intimorisce buona parte del nord dell'isola e che puo' trasformare il suo corpo anche in oggetti al fine di perseguire i propri scopi. La stria e' presente anche in forme aggregate, lavora assieme ad altre strie tanto che una leggenda parla di un processo ad una di esse che, condannata al rogo, viene salvata proprio dalle sue sorelle, e ancora oggi e' presente un colle granitico che ne conserva il nome (sa punta de s'istria, vicino a Budduso').

Su Carr' 'e Nannai:

Tradizione nota a tanti in Sardegna, ma sulle cui allusioni si e' ancora molto incerti.

Racconta la leggenda che tale Nannai possedesse un carro tutto sgangherato, a tal punto  che, passando in strada, faceva un chiasso infernale; questo rumore, udito da lontano, ricordava molto il rombo del tuono, da questo la tradizione del detto popolare "Teh, su carr' 'e Nannai!". quando si avvicina un temporale.

E' interessante notare e riportare una curiosita' alquanto particolare che riguarda appunto il termine Nannai: l'attributo riguarderebbe infatti un essere di sesso femminile e sarebbe riferibile alla Dea Diana, molto legata tra l'altro con la Stregoneria di tipo tradizionale. Diana in numerico e' riferibile a Inanna, anche lei alla guida del carro della luna, protettrice delle partorienti, che regola il lato sinistro del corpo e che, come tutte le divinita' lunari, governa le acque e di conseguenza anche la pioggia. Con la diffusione del cattolicesimo Inanna divenne S. Anna.

Su colloru pillonaxriu (la biscia):

Nel periodo estivo, in luglio, mese della mietitura, le mogli accompagnavano i mariti nel lavoro dei campi svolgendo l'attivita' di "spigadoras" (spigolatrici), cioe' raccoglievano quelle poche spighe che sfuggivano al mietitore.

Spesso portavano appresso bambini da allattare, che venivano lasciati all'ombra di un albero dentro un cesto.

Essi venivano sorvegliati continuamente da un ragazzino perche' si aveva paura che "Su colloru pillonaxriu" (la biscia) attirata dall'odore del latte emanato dal bambino tentasse di infilarsi in bocca e lo soffocasse.

Quando andavamo a cercare gli uccellini nei nidi, subito dopo la schiusa delle uova, spesso trovavamo un uovo non schiuso, era credenza che esso fosse per "Su colloru pillonaxriu " (la biscia) affinche' non si mangiasse gli uccelletti indifesi.

Le bisce erano di colore scuro, si trovavano in prossimita' di fonti o di abbeverato e se venivano disturbate molte volte attaccavano dando colpi di frusta con la coda.

Su Pundacciu:

Folletto burlone che ha l'abitudine di divertirsi sedendo sulla pancia delle persone che dormono; la sensazione e' quella di aver fatto una brutta indigestione. Come molti degli esponenti del Piccolo Popolo indossa un vestito di velluto blu e una berretta rossa.

Cosi' come nei classici racconti dei Folletti, chiunque riuscira' a privarlo del proprio copricapo, in cambio della sua restituzione, avra' indicato il luogo dove si nasconde un immenso e favoloso tesoro.

Tabellae Defixionum:

Si tratta di formule incise essenzialmente su tavolette di piombo con l'obiettivo di danneggiare gli avversari fino a farli morire o di

sottomettere alla propria volonta' una persona rendendola incapace di agire

autonomamente. Questa antica pratica, presente in epoca romana ma sicuramente retaggio di ben piu' antiche tradizioni gia' esistenti e radicate in terra di Sardegna, e' riconducibile alle pratiche di Magia Simpatica molto diffuse nelle civilta' contadine e in seguito confluite nella Stregoneria. Diversi sono gli ambiti d'intervento delle defixiones:da quello giudiziario per nuocere agli avversari in un processo, a quello dell'eros, da quello legato a contesti agonistici del circo o in altre gare a quello della rivalita' economica, a quello contro ladri e calunniatori. Con tali tavolette si lega, si inchioda una persona dedicandola a esseri sovrumani che in genere sono del mondo degli inferi.

Tombe dei Giganti:

Il mistero e la morte in tutte le culture e in tutte le scuole di pensiero risultano sempre in stretta sinergia tra loro, un connubio che mai nessuno e' riuscito a spiegare proprio perche' non ha bisogno di spiegazioni, in quanto pilastro insostituibile di ogni corrente religiosa e spirituale.

Questo particolare connubio e' molto spesso riscontrabile in Sardegna, nella sua antica storia, nelle tradizioni e nelle vestigia che hanno sfidato il tempo per arrivare fino a noi.

Di particolare rilevanza in questo contesto sono gli antichissimi monumenti funerari sparsi in quasi tutta l'isola e, in particolar modo le antichissime architetture dalle misteriose origini che prendono il nome di "Tombe dei Giganti". Probabilmente chiunque abbia visitato la Sardegna spinto anche da un seppur minimo interesse per la cultura, ne ha vista almeno una di persona. Sul fatto che siano delle tombe sembra non esserci alcun dubbio ma il mistero che le avvolge sembra alimentarsi di uno strano silenzio che aleggia intorno a questi monumenti, pochi ne parlano e poche sono le pubblicazioni in merito.

Con ogni probabilita', le popolazioni che le costruirono e ne fecero uso erano costituite da individui sufficientemente piccoli da poter entrare nelle basse camere mortuarie che vi si trovavano all'interno.

Sembrerebbe che l'aspetto con cui si presentano oggi non sia quello originario. Le vestigia dei piu' di trecento siti sparsi su tutta la Sardegna sono oggi costituite da una grande pietra centrale, spesso un monolito, da cui si dipartono altri monoliti piu' piccoli disposti a semicerchio come a formare una sorta di invito all'ingresso della tomba. In origine queste pietre erano probabilmente collegate a una copertura che andava appunto a coprire le camere mortuarie. Erano sepolture collettive, e potevano contenere fino a duecento individui. Cimiteri neolitici in piena regola ma dei quali, stranamente, nessuno sembra sapere nulla.

Molti simboli scolpiti o raffigurati sulle pietre delle tombe lasciano supporre l'esistenza di un culto dei morti probabilmente piuttosto sviluppato. Si ipotizza che la tomba avesse oltre alla sua funzione pratica anche quella simbolica di raffigurare una sorta di abitazione di un defunto deificato. Alcune delle pietre che si trovano di fianco o di fronte alla stele, che e' l'elemento piu' evidente delle tombe dei giganti, sono provviste di diversi simboli. Alcuni di questi sono fallici, altri rappresentano coppie di seni (secondo alcuni coppie di occhi), altri ancora sono di difficile interpretazione e il loro significato rimane misterioso. Sembrerebbe fosse presente l'idea sia di una divinita' maschile che di una divinita' femminile, forse maggiormente caratterizzata.

Forse la tomba era un unico simbolo che poteva rappresentare sia il principio femminile che quello maschile, sia la vita che la morte e proteggere cosi' la pace dei morti e i vivi dalla morte stessa. Un unico simbolo che producesse venerazione e paura. Anzi, di piu': una porta sul mondo dell'ignoto che servisse tanto ai vivi quanto ai morti. La grande pietra caratteristica posta all'ingresso della tomba e' essa stessa un simbolo. Ha una forma ovale, probabilmente a rappresentare l'universo o forse l'uomo. e' divisa in due parti da un listello orizzontale, forse a indicare l'esistenza di due realta', quella della vita e quella della morte, esistenza e non esistenza, noto e ignoto. Un altro simbolo, presente su tutte, e' indecifrabile. Si tratta di una sorta di scanalatura di forma irregolare Altri simboli individuati sembrano indicare la presenza anche di un culto solare. L'orientazione delle tombe non e' mai casuale: quasi sempre sono rivolte a mezzogiorno, a volte a est oppure a ovest. Sembra che, se la stele principale rappresenti il sole, le pietre piu' piccole siano gli altri pianeti del sistema solare. Come altre vestigia megalitiche raccontano di popoli che conoscevano i misteri dell'astronomia/astrologia. Alcune delle pietre poste di fronte all'ingresso della porta pare siano dei veri e propri sedili. Lo spiazzo antistante l'ingresso alla tomba doveva avere dunque una funzione rituale. Veniva in qualche modo "utilizzato" come luogo di culto perche' probabilmente la presenza dei morti permetteva di accedere in qualche modo all'arcano mondo dell'ignoto. Secondo Aristotele gli antichi abitanti della Sardegna dormivano vicino alle tombe per ricevere consigli e incoraggiamenti. I Sardi restavano immersi nel sonno presso queste tombe per vari giorni e cosi' guarivano anche dalle ossessioni. Le tombe erano percio' considerate come templi e luoghi di culto e non solo di sepoltura. Oggi queste vestigia sono ancora ricche di fascino e di mistero. Si ritrovano isolate o a piccoli gruppi in luoghi spesso disabitati ed enormemente suggestivi della Sardegna. Sono pietre lavorate dall'uomo 3.500 anni fa, sono delle rovine, ma loro, le pietre, non sembrano affatto morte. Basta fermarvisi nei pressi dopo il tramonto, dopo l'imbrunire, dopo il crepuscolo. La piccola corte antistante l'ingresso della tomba era un luogo di culto, ma un luogo di culto assolutamente popolare. Era probabilmente il luogo dove i vivi si incontravano con i loro antenati, in una dimensione diversa dall'ordinario. I morti non erano morti e basta, erano viaggiatori dell'ignoto. Non erano solo corpi da buttare via, ma i simboli del trapasso e per questo venivano conservati in un luogo sacro. Il legame con i vecchi, i morti, gli antenati rappresentava la continuazione, il flusso inarrestabile della vita, di generazione in generazione.

Le Tombe dei Giganti si possono trovare in tutta la Sardegna e attualmente quelle conosciute sono 321.

Elenchiamo di seguito per il turista o il ricercatore piu' curioso e coraggioso alcune delle piu' importanti costruzioni di questo tipo:

Nei pressi di Olbia, in regione Casteddu, si trova la tomba di giganti Su Mont'e s'Abe.

Nel comune di Quartucciu, localita' Is Concias, si trova una delle tombe di giganti meglio conservate in Sardegna Sa Dom'e' S'Orcu.

Nel comune di Lanusei, in localita' Selene in uno splendido bosco di leccio sono state rinvenute due tombe dei giganti risalenti XVIII secolo a.C.

Aiodda, a Nurallao,

Coddu Vecchiu, ad Arzachena

Sa Dom'e S'Orku, a Siddi

Imbertighe, a Borore

Li Lolghi, ad Arzachena

Madau, a Fonni

Muraguada a Bauladu,

Osono, a Triei,

San Cosimo, a Gonnosfanadiga

Ena 'e Thomes, a Dorgali

Bainzu, a Borore

Sa Farch'e S'Artare a Seneghe

Traigo'rzu:

Animale fantastico che vive nei dintorni di Bosa e di Siniscola (Nuoro); viene generalmente descritto come un ibrido fra un bue e un cavallo. Solitamente va in giro trascinando un grosso carro chiamato "garru gocciu" la cui funzione e' quella di prelevare le anime appena trapassate. In altre zone dell'isola lo stesso carro viene chiamato "su garr'e sos mortos" oppure "su garr'e e sa morti". L'inquietante veicolo esce a mezzanotte e procede con grande rumore, udito soltanto dai parenti e dagli amici della persona che sta per morire. Questo terribile animale e' anche conosciuto come Lu Traicoggiu.

Venere di Macomer:

Abitato fin dalla piu' remota antichita', Macomer fu all'inizio un insediamento punico.

L'origine cartaginese e' testimoniata dal toponimo, composto dalle radici Macom (luogo) e Mer, vocabolo che indica la presenza di abbondante acqua di sorgente. Proprio in questo luogo, piu' esattamente in una grotta, situata in localita' Marras, in una gola del rio S'Adde, e' stata rinvenuta, nel 1949, una statuetta, ormai universalmente conosciuta come la Venere di Macomer, oggi custodita nel Museo Archeologico nazionale di Cagliari. Il manufatto, raffigurante una Dea Madre risalente stilisticamente al paleolitico superiore, e' alto circa 14 cm., ed e' stato realizzato con pietra basaltica locale. La citta' vanta gia' importanti vestigia del passato, in una delle zone con la piu' alta concentrazione di testimonianze nuragiche, con vari siti archeologici tra i piu' importanti della Sardegna, situati in varie localita' attigue al centro abitato, tra cui spicca il sito di Tamuli, una tomba di giganti contraddistinta da sei betili a forma di cono. Nel 1478 vi si svolse la storica battaglia tra i Sardi e gli Aragonesi, che pose fine all'autonomia della Sardegna.

Il culto della Dea Madre, motore di quasi tutte le spiritualita' antiche e riscoperta moderna di vetuste tradizioni, viene espresso nella Venere di Macomer nel pieno della sua trascendenza; il fatto che questo reperto si presenti quasi come non finito o rifinito e' in realta' la migliore espressione artistica per rendere visivamente quanto la Grande Madre suggerisce allo spirito di chi la osserva.

Il viso quasi del tutto inesistente, l'aspetto animalesco della figura, sono rappresentativi della sua essenza, della Dea Madre intesa come natura acerba e selvaggia che si plasma al lavoro dell'uomo pur conservando integro il suo mistero.

Studi comparati effettuati sul reperto si sono spesso scontrati sulla datazione da attribuire al manufatto, gli stessi scontri sono avvenuti sulla comparazione con altri ritrovamenti simili in aeree geografiche e culture lontane tra loro.

Anche in questo caso sarebbe ipotizzabile una seria ricerca sulle origini della Sardegna e dei popoli che vi abitavano, studi che potrebbero dare sorprendenti risultati e nuovi spunti per gli storici.

Si tratterebbe di una datazione storica abbastanza elevata, collocabile tra il 3730 e 3300 a.C.